La guerra in Ucraina mette a rischio 41 miliardi di Pil italiano nel 2022

Analisi di Unimpresa sulle ricadute del conflitto in termini di caro energia, carenza di materie prime, minore export e inflazione in crescita. 

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La guerra in Ucraina scatenata dalla Russia potrebbe far perdere all’Italia, nel 2022, circa 41 miliardi di euro di prodotto interno lordo: secondo il Centro studi di Unimpresa, il conflitto tra Mosca e Kiev mette a rischio oltre il 36% della crescita economica prevista per quest’anno. Se il governo, nel nuovo Documento di economia e finanza, taglierà la stima di crescita, per quest’anno, dal 4,7% al 3% o anche meno, il Pil dovrebbe arrivare a un totale di 1.851 miliardi invece di 1.892 miliardi previsti con la Nota di aggiornamento al Def dello scorso ottobre.

Per il Centro studi di Unimpresa il taglio delle stime in arrivo col nuovo Def – la cui pubblicazione dovrebbe essere imminente – dovrebbe far emergere una riduzione della crescita economica, per il 2022, di circa il 36,1%. «Lo sforzo del governo, quanto a risorse economiche da mettere sul piatto per colmare la mancata crescita, deve essere pari a quegli oltre 40 miliardi di euro di Pil che la guerra tra Russia e Ucraina di fatto brucerà – afferma il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara -. Se sarà necessario, bisognerà procedere con scostamenti di bilancio: siamo in una economia di guerra e questa situazione va affrontata con interventi straordinari». Mandando letteralmente alle stelle il debito pubblico nazionale.

La guerra in Ucraina potrebbe ripercuotersi anche sull’indice dei prezzi al consumo. Col prezzo del petrolio a 150 dollari al barile, secondo il Centro studi di Unimpresa, l’inflazione a giugno arriverebbe all’8,4% per poi ripiegare, solo in caso di miglioramenti, al 6,8% a settembre. Se, invece, le quotazioni del greggio si fermassero in media, nei prossimi mesi, attorno a quota 120 dollari al barile, l’inflazione si attesterebbe a 7,5% a giugno, per poi flettere al 6,4% a settembre.

L’ultimo trimestre del 2022 potrebbe portare, in entrambi i casi, a un ulteriore ribasso dell’inflazione che a fine anno potrebbe attestarsi, rispettivamente al 4,8% col Brent a 150 dollari e al 4,2% col Brent a 120 dollari. Si tratta di proiezioni suscettibili di improvvise variazioni e correzioni: il quadro internazionale incerto, a cagione del conflitto in corso tra Mosca e Kiev, e non possono essere esclusi incrementi ancora più rilevanti rispetto alle previsioni realizzabili fino a questo momento.

«L’inflazione è spinta al rialzo dal prezzo in crescita di tutti i beni, ma è la componente energetica a contribuire, più di altri, ad alimentare l’aumento dell’indice dei prezzi al consumo. Tale tendenza potrebbe proseguire ancora a lungo e andare avanti anche nel 2023. Il rischio che corriamo – secondo gli analisti di Unimpresa -, soprattutto per il 2023, è quello della stagflazioneovvero di una stagnazione, cioè assenza di crescita quando l’economia ristagna, accompagnata dall’inflazione, un aumento continuo dei prezzi che aggraverebbe la stessa congiuntura economica sfavorevole».

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