Conflitto in Ucraina: l’Italia entra in un’economia di guerra

L’allarme della stagflazione è sempre più fondato e concreto: servono provvedimenti immediati per evitare il blocco dell’economia nazionale, ma la politica è impreparata alla sfida. 

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Per autorevole ammissione del premier Mario Draghi, l’Italia è entrata in un’economia di guerra a seguito del conflitto in Ucraina scatenato dalla Russia: una guerra che all’Italia e all’Europa porterà molti problemi economici e sociali per almeno i prossimi due anni, con fortissime difficoltà nell’approvvigionamento di prodotti alimentari ed energetici, oltre che di materie prime per l’industria manifatturiera.

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Le prime avvisaglie dell’economia di guerra si vedono già in numerose catene distributive che hanno iniziato a razionare i prodotti in vendita, dalle difficoltà di rifornimento dei negozi per il livello abnorme e speculativo raggiunto dai carburanti – gravati per il 55% da tasse – che fa ormai lavorare in perdita le aziende della logistica. Problemi che si riflettono anche sulla produzione per la mancanza di prodotti di base come il mais, il grano duro e tenero, la soia, gli olii di semi che vengono importati dai teatri di guerra per almeno il 50% del fabbisogno nazionale.

Poi, lo zampino ferale ce lo mette una politica decisamente inadeguata alle responsabilità che deve affrontare, in Italia così come a Bruxelles e in altre capitali europee. Almeno negli ultimi 10 anni ci si è cullati sulla disponibilità di energia a basso costo, così come di prodotti alimentari provenienti dall’estero, dimenticandosi di un aspetto strategico, quello di garantirsi ampie soglie di autosufficienza, perché il vento della storia può sempre girare e soffiare dove non ci si sarebbe mai aspettato, come nel caso della guerra in casa europea. Politici di terzo o quart’ordine, che avrebbero pure difficoltà ad amministrare un condominio, sono stati messi a capo di ministeri strategici dove si sono baloccati per anni sul dolce far niente, senza predisporre le dovute contromisure: dall’aumentare la produzione di energia e di generi alimentari, dall’evitare di sfasciare intere filiere industriali, economiche e sociali solo per soddisfare un’ambizione irrealistica e controproducente come l’azzeramento della quota di emissioni climalteranti del continente, limitate ad un misero 8% del totale globale.

Signori si cambia! Con quest’affermazione gli italiani e gli europei dovranno fare i conti, uscire da lustri di realtà oniriche, di visioni immaginifiche e ripiombare nella dura realtà di un’economia di guerra, fatta di razionamenti, di privazioni e di addii agli agi della vita comoda.

Buona visione.

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