Prati verdi, le montagne dell’Alto Adige sullo sfondo e al centro l’immagine dello speck Alto Adige: è così che viene rappresentato uno dei prodotti più conosciuti e rappresentativi della gastronomia altoatesina. Anche il contadino con il grembiule blu e una ragazza in costume tipico tirolese fanno spesso da contorno a questo quadro idilliaco e bucolico. E’ il motivo ripetuto nelle campagne pubblicitarie dei prodotti dell’Alto Adige, una favola che viene proposta a turisti e consumatori. Tuttavia, questa icona creata dagli esperti di marketing del settore alimentare, con il supporto istituzionale ed economico della provincia di Bolzano, è estremamente fuorviante, ma efficiente, perché riesce a creare nell’immaginario collettivo un’idea di produzione alimentare regionale, autentica e genuina, quando di regionale ha ben poco.
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Secondo i dati della Relazione agraria e forestale della provincia di Bolzano del 2018, nello stesso anno in Alto Adige sono stati allevati ben 8.557 suini. Se ogni suino è dotato di due cosce, da tutti quelli allevati in Alto Adige si sarebbero potute produrre 17.114 baffe di speck (cosce suine affumicate) all’anno.
Come è possibile che nello stesso periodo in Sudtirolo siano state prodotte 7.699.000 baffe di speck vendute con il marchio Alto Adige e di queste 2.755.541 baffe con il marchio di qualità Speck Alto Adige IGP?
La realtà, secondo quanto denuncia il WWF altoatesino è che solo lo 0,2% delle carni utilizzate nella produzione dello speck Alto Adige è di provenienza regionale, mentre il 99,8% della materia prima arriva dall’estero. Ogni anno circa 3,8 milioni di maiali vengono allevati in vere e proprie fabbriche, dei capannoni chiusi, noti come allevamenti intensivi. E’ da lì che provengono gran parte delle carni destinate alla produzione dello speck altoatesino, e non dai masi e dalle valli alpine che si vedono nelle martellanti immagini pubblicitarie.
Le carni giungono in Alto Adige da Germania (70%), Olanda (20%), Austria (2,5%), Italia (7%) Belgio (0,5%), dove si allevano maiali a bassissimo costo, in allevamenti “ad alta efficienza” e dove i suini vengono alimentati con mangimi a base di soia e cereali per ingrassarli velocemente.
Anche lo speck Alto Adige IGP è prodotto con maiali provenienti dall’estero. Ciò che appare ad un primo momento una truffa è stata resa legale dal disciplinare dello speck Alto Adige, che consente di esternalizzare la produzione delle carni di maiale e con essa anche gli effetti negativi dell’allevamento intensivo: l’inquinamento dei terreni e delle acque a causa dei reflui zootecnici, e le emissioni di ammoniaca.
Per la preparazione dello speck Alto Adige il disciplinare non impone di utilizzare carni di provenienza regionale o nazionale – come accade per altre tipologie di salumi italiani – e nemmeno di mostrare in etichetta la provenienza della carne stessa, ma dà solo indicazioni sulla lavorazione e affumicatura delle carni.
Il problema non riguarda solo la produzione intensiva dei maiali all’estero e poi importati in Alto Adige per la lavorazione finale: c’è anche la questione dei mangimi con cui i suini vengono allevati che sono a base di soia e mais geneticamente modificati, coltivati in gran parte in Sud America, a scapito delle foreste tropicali che ospitano la più elevata biodiversità del pianeta. All’insaputa della maggior parte dei consumatori, i suini allevati nel Nord Europa, alimentati con mangimi geneticamente modificati provenienti anche dal Sud America, diventano speck Alto Adige: un finto prodotto regionale. In realtà, il prodotto di un’economia globalizzata, le cui materie prime vengono coltivate e trasportate su scala mondiale.
Di fatto di locale lo speck Alto Adige ha solo la salatura, l’affumicatura e il confezionamento. L’etichetta del prodotto finale non contiene – a norma di regolamento disciplinare – le informazioni sull’intera filiera produttiva. E questo è un peccato perché ben pochi consumatori sarebbero disposti a comprare uno speck Alto Adige con la scritta “carni di provenienza estera”, oppure “proveniente da allevamento intensivo”, o ancora “suini alimentati con mangimi geneticamente modificati”. Meglio quindi riportare solo il marchio regionale Alto Adige Südtirol e non indicare null’altro. Che non corrisponda al vero non importa. L’importante è aumentare di anno in anno la produzione dello speck, le vendite e i fatturati del comparto.
Di qui la richiesta del mondo ambientalista che il responsabile agricoltura del WWF Alto Adige, Luigi Mariotti, formula “Focus” di “ViViItalia Tv” nell’intervista condotta dall’esperto di comunicazione e analisi politica, Gianfranco Merlin, e dal direttore de “il NordEst Quotidiano”, Stefano Elena: «è necessario eliminare gli allevamenti intensivi industriali, tagliando anche i sussidi europei, italiani e locali alle produzioni alimentari che utilizzano carni provenienti da allevamenti intensivi, per sostenere aziende agricole che producono con metodi biologici ed estensivi». Mariotti rivolge un appello anche ai consumatori: «al momento è estremamente difficile riconoscere se un alimento è effettivamente regionale e prodotto in modo sostenibile. Consigliamo di diffidare del marchio Alto Adige – Südtirol, dietro al quale si nascondono sfruttamento e danni ambientali che vanno ben oltre i confini provinciali».
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