Nel corso del 2021, le sofferenze delle banche italiane sono calate di 13 miliardi di euro: una ulteriore “pulizia” dei bilanci, accelerata dalle norme europee sui prestiti deteriorati, che corre il rischio di espellere dal circuito legale del credito sia le famiglie sia le aziende, in particolare le piccole e medie imprese.
La denuncia arriva dal Centro studi di Unimpresa, in relazione ai dati diffusi dalla Banca d’Italia. «Tale situazione può portare fuori dal circuito legale del credito, un recinto regolamentato sotto molteplici punti di vista, centinaia di migliaia di attività economiche– commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora -. Ciò sia perché il debitore ceduto dalle banche a societàdi recupero crediti non è più interlocutore di un soggetto bancario, col quale intratteneva rapporti anche ultradecennali, sia perché diventa “preda” di società di recupero crediti che agiscono con attitudini non sempre “amichevoli” e, pertanto, sono in grado di cagionare seri problemi agli imprenditori oltre che ai singoli cittadini. Ne consegue che, per far fronte alle scadenze finanziarie, non pochi soggetti ricorrono agli usurai o alla criminalità organizzata per trovare quella liquidità che viene negata in banca».
Secondo il Centro studi di Unimpresa, le sofferenze delle banche italiane sono diminuite di 13,1 miliardi nel corso dell’ultimo anno, dai 51,2 miliardi di dicembre 2020 ai 38,1 miliardi di dicembre 2021, con un calo del 25,6%. Discesa ancora più marcata, pari al 28,0%, se si limita l’osservazione alle sofferenze nette ovvero quelle riferite ai prestiti non coperti da garanzie reali (tipicamente gli immobili).
«La cessione massiccia di “non performing loan” è una perdita per l’intero settore economico. La politica della Bce, favorita dal silenzio del governo e delle istituzioni italiane a partire dall’inizio dello scorso decennio, è stata miope – aggiunge Spadafora -: sono state imposte scelte che, se da un lato ben si adattano ai sistemi bancari del Nord Europa, hanno messo in difficoltà gli istituti di credito italiani. Se i modelli nordici non hanno accusato il colpo, anche perché quelle economie non sono bancocentriche, realtà come quella italiana soffrono un certo tipo di impostazione».
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