Nonostante il settore automotive in Italia continui ad essere un fenomenale volano per l’occupazione, la ricerca applicata, l’apporto al Pbil e al gettito fiscale, nella Finanziaria 2022 di sostegno al comparto non vi è traccia, se non un generico fondo di 150 milioni da suddividere tra i soggetti dell’automotive, dello spettacolo e del turismo, tutti pesantemente colpiti dagli effetti negativi causati dalla pandemia da Covid-19.
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Il settore della mobilità chiude il 2021 con una serie di pesanti dati negativi, con oltre 1,3 milioni di auto in menovendute in Italia rispetto all’ultimo anno “normale”, il 2019, con un crollo del gettito fiscale (per la sola Iva persi 5,6 miliardi di euro di entrate). Non solo: il settore paga anche numerose scelte sbagliate fatte dagli ultimi due governi, ad iniziare dall’assurdo, eccessivo sostegno all’auto elettrica ed ibrida nella convinzione (falsa) di pochi demagoghi che sia ambientalmente neutra, quando innesca una serie di pesanti conseguenze economiche, sociali, ambientali e pure geopolitiche, penalizzando anche fiscalmente i veicoli con il tradizionale motore termico, nonostante costino di meno, abbiano meno problemi di gestione e siano pure meno inquinanti (solo quelli di ultima generazione Euro 6) della mitizzata auto elettrica e parte trainante dell’industria manifatturiera nazionale.
Intervistato dall’esperto in comunicazione e analisi politica, Gianfranco Merlin, e dal direttore de “il NordEst quotidiano”, Stefano Elena, il responsabile del dipartimento energia della Lega, il senatore Paolo Arrigoni, fa chiarezza su alcuni punti dell’azione del governo Draghi e della Finanziaria 2022, evidenziando anche una serie di questioni che nel 2022 non potranno assolutamente essere sottaciute, ad iniziare dallo stoppare l’ambizioso e controproducente piano “Fit for 55” baldanzosamente presentato dalla Commissione europea che vorrebbe mettere al bando entro il 2030 il motori termici per lasciare il posto solo alla mobilità elettrica. Peccato solo che così facendo l’Europa causi un clamoroso autodafé che rischia solo di favorire i competitori diretti, ad iniziare da Cina, India e Stati Uniti, che ben si guardano dal correre verso il baratro come invece pare si stia facendo a Bruxelles e dintorni.
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