L’evasione fiscale diminuisce: secondo il “tax gap” elaborato dal ministero dell’Economia e delle Finanze, nel 2019(ultima annualità disponibile), l’evasione fiscale presente in Italia sarebbe scesa a 80,6 miliardi di euro, con un “recuperato” ben 13 miliardi di euro secondo le valutazioni effettuate dall’Ufficio studi della CGIA.
L’amministrazione finanziaria italiana sembra essere riuscita a trovare la strada giusta per combattere efficacemente questa piaga sociale ed economica che da sempre caratterizza negativamente il Paese. Tra la “compliance fiscale”, lo “split payment” dell’Iva e, a partire dal 2019, per mezzo della fatturazione elettronica, una serie di contribuenti – tra cui gli evasori incalliti, chi riceveva i pagamenti dallo Stato per un servizio o una prestazione lavorativa resa e poi non versava l’Iva e, infine, i professionisti delle cosiddette “frodi carosello” – sono stati indotti a ravvedersi. Non solo: anche il leggero calo delle tasse registrato in questi ultimi anni ha sicuramente avuto un effetto positivo sul fronte delle entrate. Sebbene sia ancora del tutto insufficiente, la contrazione della pressione fiscale ha contribuito a ridurre l’evasione, soprattutto quella che in gergo viene chiamata di “sopravvivenza”.
A seguito della discussione politica introdotta con la riforma dell’Irpef, dal mondo sindacale, ma anche da alcuni “tecnici” come il direttore dell’Agenzia delle entrate, Enrico Maria Ruffini, si è tornati a sostenere che l’imposta sul reddito delle persone fisiche sarebbe pagata per quasi il 90% da pensionati e lavoratori dipendenti.
La Cgia ribadisce che questa affermazione è del tutto fuorviante, perché sottende che in Italia a pagare la quasi totalità dell’Irpef sarebbero solo due categorie di contribuenti: quelle richiamate poc’anzi. In realtà chi continua a ripetere questa ovvietà è “vittima” di un grave abbaglio statistico/interpretativo.
Se, infatti, è palese che oltre l’82% dell’Irpef (e non il 90%) è versata all’erario da pensionati e lavoratori dipendenti, questo avviene perché queste 2 categoria rappresentano quasi l’89% del totale dei contribuenti Irpef presenti in Italia.
Se si vuole dimostrare lo squilibrio del carico fiscale legato all’Irpef, la metodologia “corretta” consiste nel calcolare l’importo medio versato da ciascun contribuente facente parte di ognuna delle 3 principali tipologie che pagano l’imposta sulle persone fisiche: lavoratori autonomi, dipendenti e pensionati.
Applicando questa metodica, dagli ultimi dati disponibili sui redditi relativi al 2018 (fonte ministero dell’Economia e delle Finanze), emerge che, mediamente, i pensionati pagano un’Irpef netta annua di 3.173 euro, i lavoratori dipendenti di 4.006 euro e gli imprenditori/lavoratori autonomi di 5.741 euro.
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