Musikàmera prosegue con tre appuntamenti con la musica Barocca, Romantica e del Novecento

Appuntamenti tra il Teatro La Fenice e il Teatro Malibran a Venezia.  Di Giovanni Greto 

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Giuseppe Tartini, virtuoso del violino.

L’Università degli studi di Padova ideò nel 2020 un progetto triennale, “Tartini 2020”, per studiare in maniera profonda la figura del compositore e musicista istriano a 250 anni dall’anniversario della morte e gli Amici dellaMusica di Padova e l’Associazione Musikàmera di Venezia avevano pensato di celebrare l’importante ricorrenzacon un concerto in entrambe le città.

Gli Amici erano riusciti nell’intento, mentre Musikàmera no. Poco male, perché anche se un anno è trascorso, il concerto dell’Ensemble Aurora, guidato e fondato nel 1986 dal violinista Enrico Gatti, si è potuto tenere nelle sale Apollinee del Teatro La Fenice, all’interno della nuova stagione.

Tartini, violinista di straordinaria agilità nella mano sinistra, considerato all’epoca il più bravo d’Europa, scoprì ad Ancona nel 1714 il fenomeno del Terzo suono, vale a dire il suono che si produce al disotto o, in certi casi, in mezzo a due suoni, anche dissonanti, eseguiti simultaneamente.

La scaletta del concerto ha alternato tre Sonate del virtuoso Tartini, punteggiate da una miriade di trilli e mordenti, a due Sonate di Antonio Vandini, sacerdote, compositore e violoncellista, il quale collaborò a stretto contatto con Tartinia partire dal 1721 a Padova nell’orchestra della Basilica del Santo, ospitandolo nella sua casa negli ultimi due anni di vita (1769-1770), quando era rimasto vedovo.

Le composizioni di Tartini, leggermente malinconiche, intrise di mestizia, tecnicamente difficili da interpretare, sono state ben affrontate dall’Ensemble Aurora. Una sonorità ottima, grazie alla bontà degli strumenti originali, è stata premiata da applausi dopo ogni esecuzione e ha indotto il trio, completato da Gaetano Nasillo, violoncello e Anna Fontana, clavicembalo, a regalare un breve bis, Aria Schiavone, di Giuseppe Tartini, definibile come “musica del popolo”.

Ha sorpreso per qualità e bravura dei singoli artisti il concerto del duo Tommaso Lonquich, classe 1984 di madre italiana e padre tedesco (il famoso pianista Alexander), clarinetto e Claudio Martinez Mehner, pianoforte.

I musicisti hanno esplorato il repertorio di quella musica da camera del Novecento non sperimentale, maggiormente legato ai ritmi, alla melodia e pertanto più godibile. E’ una gioia ascoltare il clarinetto quando è suonato con calore, ardore ed intensità, al punto che si vorrebbe ascoltarlo più spesso nel cartellone delle stagioni cameristiche.

Cinque gli autori in scaletta, a partire da Camille Saint-Saens, del quale il duo ha eseguito la Sonata in Mi bemolle maggiore op.167, che ha affascinato per il suo carattere melodico, facile da memorizzare, senza essere sinonimo di banalità.

Interessante, la Sonata per clarinetto e pianoforte, scritta fra il 1941 e il 1942, di Leonard Bernstein. Si compone di due movimenti consecutivi, “Grazioso-Andantino”. Lirico e sospeso, il primo, mentre il secondo che si sposterà in un veloce “Vivace e leggero”, è caratterizzato da un continuo cambio di tempo – 3/8, 4/8, 5/8, 7/8 – inusuale negli ascolti.

Di Claude Debussy, Martinez Mehner ha eseguito “Tre preludi per pianoforte solo”, scelti dai 12 che compongono il secondo libro, per la precisione il n. 5, il 4 e il 6, Bruyères (Brughiere), Les fées sont d’exquises danseuses (le fate sono squisite danzatrici), General Lavine-eccentric (Generale Lavine-eccentrico). Sono pezzi brevi, che sembrano distaccarsi dallo stile impressionista, che, secondo la critica, caratterizza il compositore.

Di Debussy, stavolta insieme, i musicisti hanno eseguito anche la Premiere Rhapsodie, un brano destinato ad essere una prova di concorso (l’esame di lettura a prima vista) per gli studenti di clarinetto del Conservatorio di Parigi.

Di Igor Stravinsky, Lonquich ha eseguito “Tre pezzi per clarinetto solo”, assai cantabili, apparentemente liberi nell’improvvisazione, della durata complessiva di quattro minuti, destinati in origine a Werner Reinhart, un buon clarinettista dilettante svizzero, che aveva finanziato il primo allestimento dell’Histoire du soldat. Soltanto in questo caso, Lonquich utilizza, come richiesto dall’autore, il clarinetto in La nei primi due mentre l’esemplare in Sibemolle, leggermente più piccolo, viene preferito nel terzo.

Conclusione con la Sonata op. 184 di Francis Poulenc, la penultima opera del compositore. Dedicata alla memoria di Arthur Honegger, compositore svizzero, avverso all’impressionismo debussyano, la Sonata è commissionata da Benny Goodman, col proposito di eseguirla con lo stesso Poulenc al pianoforte. Venuto a mancare improvvisamente l’Autore, il 30 gennaio 1963, la Sonata sarà presentata al pubblico per la prima volta il 10 aprile 1963 alla Carnegie Hall di New York da Goodman e Leonard Bernstein. Divisa in tre movimenti, colpisce per l’interessante intermezzo che si crea tra lo strumento a fiato e quello a tastiera.

Per uscire dall’ambiente parigino, i musicisti scelgono per il bis un movimento da una Sonata di Johannes Brahms.

Il terzo concerto ha avuto luogo nello spazioso Teatro Malibran, la seconda casa della Fenice. Protagonista la settantanovenne pianista georgiana Ellisso Virsaladze, tecnicamente ed espressivamente un’artista di livello elevato. Due gli autori eseguiti in alternanza in un Recital con intervallo, a differenza di quanto avviene alle Apollinee: Wolfgang Amadeus Mozart e Fryderyk Chopin – due tra i compositori prediletti dalla pianista, scomparsi in giovane età, eppure entrambi assai fecondi ed apprezzati virtuosi della tastiera.

Fantasie, Sonate e Rondò hanno confermato la musicalità di Mozart, ma il pezzo di maggior interesse tra quelli ascoltati del salisburghese sono state le Nove Variazioni in do maggiore per piano sull’arietta Lison dormait K264, scritte a Parigi nel 1778, basate su un’aria dell’opéra-comique Julie del compositore francese Nicolas Dezède. Ellisso ha mostrato una bravura virtuosistica non fine a se stessa, una leggerezza nel tocco, quasi uno scivolare elegante lungo l’intera tastiera. Valzer, Ballate e Notturni hanno evidenziato il carattere triste, forse ombroso del compositore polacco, capace di evocare spesso atmosfere oniriche, anche se la base stilistica rimane una lucida, soddisfacente cantabilità.

Molti applausi e due mazzi di fiori elargiti, il primo da una maschera di sala, il secondo da un ammiratore dalla platea, hanno preceduto due brevi bis, presumibilmente chopiniani.

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