Annunciata, si è puntualmente materializzata la “botta” degli aumenti dell’energia elettrica nelle bollette dei consumatori, con incrementi della sola parte relativa alla materia energia da autentico capogiro, come accade nelle bollette che stanno giungendo ai consumatori in questi giorni specie se raffrontata con quella di analogo periodo – e praticamente analoghi consumi – del 2020.
Il costo dell’energia elettrica fatturato in bolletta è passato, in una fattura utilizzo domestico emessa da un gestore certificato “100% energia pulita”, da 27,85 euro del 2020 a ben 84,51 euro del 2021. Quasi triplicato! L’unica nota positiva è il forte calo degli oneri di sistema, passati da 14,09 euro a soli 3,98 euro grazie alla sterilizzazione introdotta dal governo Draghi.
Il problema è che in questa e in altre bollette il prezzo al consumatore dell’energia fornita non tiene affatto conto del reale costo di produzione dell’energia elettrica venduta che, invece, si rifà alla quotazione media della borsa energetica nazionale, che comprende anche una forte percentuale di energia prodotta da fonti fossili che hanno risentito dei fortissimi aumenti internazionali del gas metano e del petrolio.
Nel caso di specie, la fornitura è certificata “100% energia pulita” da fonte rinnovabile – idroelettrica – prodotta da dighe e centrali situate nell’arco alpino, che oggettivamente hanno costi di produzione stabili e costanti nel tempo, non influenzati dall’andamento delle quotazioni internazionali delle fonti fossili.
Del caro bollette si è fatto carico il deputato di Forza Italia, Dario Bond, secondo cui «sarebbe opportuno che il governo e l’Arera cambiassero le modalità di formazione del prezzo, con l’obbligo per i venditori di fatturare ai clienti finali al costo effettivo di produzione industriale, abbassando di conseguenza i prezzi per tutti i clienti che acquistano energia elettrica da fonti rinnovabili, a partire da quelli delle zone di montagna dove sono situati gli impianti di produzione idroelettrica. Questo, oltre ad evitare che le aziende produttrici incassino sostanziosi extrautili, anche per evitare di penalizzare ulteriormente – oltre ai già noti fattori ambientali e di difficoltà di collegamento con le aree di pianura – le “terre alte”, evitando di accelerarne lo spopolamento».
Non solo: il caro energia affligge anche tante amministrazioni comunali che gestiscono impianti pubblici, ad iniziare da quelli sportivi ad alto consumo energetico. Per Bond «le attività sportive di base sono a rischio. I giovani atleti potrebbero non avere più un posto dove allenarsi e anche le società che fanno attività sociale potrebbero ritrovarsi bloccate. A meno che il governo non intervenga per aiutare i comuni a tenere aperti gli impianti. Tenere aperti palaghiaccio, piscine e palasport costa di più, con l’aumento dei costi energetici. Mi sono stati segnalati da sindaci e assessori comunali aumenti anche di 80-100.000 euro l’anno. Cifre insostenibili per le casse dei comuni, che sono costretti o a chiudere o ad aumentare le tariffe, rendendo di fatto impossibile l’attività sportiva di base dei giovani atleti».
Per Bond «è necessario che il governo e il Coni si attivino per scongiurare la chiusura degli impianti. Non possiamo permettere di perdere lo sport, non solo per i futuri atleti, ma anche per bambini e ragazzi per i quali l’attività sportiva rappresenta un importante mattone della crescita e della formazione. Soprattutto, non possiamo permettercelo, a pochi anni dalle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina. A tal proposito, sto lavorando ad alcuni emendamenti, che presenterò in maniera trasversale, con colleghi di diversi partiti. La questione è troppo importante».
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