Secondo i dati diffusi da ACEA (l’associazione dei costruttori automobilistici europei), nel complesso dei Paesi dell’Unione europea allargata all’EFTA e al Regno Unito ad ottobre le immatricolazioni di auto ammontano a 798.693 unità, il 29,3% in meno rispetto ad ottobre 2020, il peggior risultato di sempre del mercato dell’auto europeo. Nei primi dieci mesi del 2021, i volumi immatricolati raggiungono 9.960.706 unità, con una variazione positiva del 2,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (ma -25,3% rispetto a gennaio-ottobre 2019).
«Ad ottobre prosegue, per il quarto mese consecutivo, dopo le pesanti flessioni del trimestre luglio-agosto-settembre, l’andamento discendente (-29,3%) del mercato dell’auto europeo, che arriva a toccare i volumi più bassi, per il decimo mese dell’anno, da quando ACEA ha iniziato la rilevazione – afferma Paolo Scudieri, presidente di ANFIA, la filiera automobilistica italiana -. La maggior parte dei Paesi registrano cali a doppia cifra, inclusi i cinque principali mercati (compreso UK): l’Italia, che è in quarta posizione per volumi di immatricolazioni, registra il risultato peggiore (-35,7%), seguita da Germania (-34,9%), Francia (-30,7%), UK (-24,6%) e Spagna (-20,5%). Per questi cinque mercati, nel complesso, la contrazione delle immatricolazioni, -31,1%, è più severa della media UE e la loro quota complessiva sul totale immatricolato si attesta al 70,6%».
Ad accomunare i maggiori Paesi europei sono le difficoltà generate dalla carenza di semiconduttori, una situazione di stallo che si protrarrà anche nel 2022, che sta mettendo a dura prova la filiera produttiva e distributiva dell’autoveicolo – si pensi che, in un’automobile, il numero dei chip installati va da un minimo di 50 a un massimo di 3.000 circa – rallentando i ritmi delle consegne e costringendo spesso le case ad impoverire gli allestimenti dei veicoli, concentrando quelli più moderni – come la strumentazione digitale – solo sui modelli di fascia più alta e agli allestimenti più ricchi. A questi si sta aggiungendo anche la carenza di metalli per le leghe leggere.
Per sostenere il mercato dell’auto servono politiche concrete e lungimiranti, senza indulgere alla demagogia ambientalista che non tutela affatto la riduzione dell’inquinamento, limitandosi semplicemente a spostarlo.
Sia il presidente di Anfia che il direttore dell’Unrae (l’associazione degli importatori italiani), Andrea Cardinali,reclamano al governo Draghi una rapida presa di responsabilità, non fosse altro il peso del settore sull’economianazionale, sia in termini di Pil, di gettito tributario, di occupazione e di capacità d’innovazione.
«Ci stupisce che il governo italiano, impegnato, in questo momento, nella programmazione economica del Paese, non abbia inserito nell’attuale bozza della legge di Bilancio 2022 alcuna misura a sostegno del settore, né sul fronte dell’offerta, né sul fronte della domanda, nonostante le varie proposte di intervento discusse al Tavolo automotive del ministero dello Sviluppo economico. Quest’assenza fa dell’Italia l’unico Paese a non avere, in questa fase, misure di incentivazione alla domanda dei veicoli».
Cardinali reclama la «reiterazione di misure come l’Ecobonus di durata almeno triennale. È ineludibile anche una rigorosa pianificazione per garantire uno sviluppo rapido e capillare delle infrastrutture di ricarica, soprattutto quelle ad alta potenza. Senza misure strutturali di medio-lungo periodo, gli obiettivi di decarbonizzazione e svecchiamento del parco circolante non saranno realisticamente raggiungibili».
Per rilanciare il mercato dell’auto a livello europeo serve soprattutto un deciso cambio di rotta a livello continentale, abbandonando la marcia a tappe forzate verso l’elettrificazione del settore, accelerata dopo lo scandalo innescato dal gruppo Volkswagen, che non è assolutamente pagante sul fronte dell’abbattimento dell’inquinamento, che espone l’Europa a problemi di stretta dipendenza alla Cina per la fornitura di materiali per la costruzione degli accumulatori elettrici e per la realizzazione di leghe leggere, puntando al recupero della tecnologie Diesel e alla diffusione di carburanti a basso tenore di carbonio, entrambe frutto della ricerca europea che hanno il vantaggio strategico di essere utilizzabili da subito su tutti i 350 milioni di veicoli già circolanti sulle strade d’Europa, contribuendo da subito ad abbattere sensibilmente l’inquinamento senza attendere da diffusione dei veicoli elettrici – decisamente più cari anche al netto dei ricchi incentivi pubblici – e della rete di ricarica ad alta potenza– che cozza con il problema strategico della carenza di sufficiente energia rinnovabile per ricaricare le batterie e i problemi strutturali della rete esistente per soddisfare le potenze richieste.
Una soluzione più efficace a livello di Paese sta nel rilanciare gli acquisti dei veicoli a standard Euro 6 a prescindere dal loro livello di emissioni con un contributo fisso di 2.000/3.000 euro, oltre a riportare dopo trent’anni di deroghe l’auto aziendale in Europa, con la deducibilità al 100% dei costi d’acquisto e dell’Iva. Quest’ultimo provvedimento darebbe anche una maggiore competitività alle imprese italiane, oggi penalizzaterispetto ai concorrenti esteri. Altro passo, togliere la penalizzazione alle auto aziendali concesse in uso ai dipendenti, cosa che porterebbe ad un ulteriore incremento delle vendite, ad una maggiore rotazione del parco veicoli – più sicuro e meno impattante – e cura nella manutenzione periodica.
Si vedrà se la Commissione finanze del Senato – di fatto l’unica in grado di applicare modifiche al testo della norma che sarà approvato definitivamente dal Parlamento – avrà la forza di applicare le dovute modifiche uscendodall’approccio eccessivamente demagogico e non ambientalmente corretto finora tenuto dai due governi Conte. In caso contrario, saranno molte le aziende della filiera automotive italiana che consegneranno al governo Draghile chiavi delle proprie aziende costrette al fallimento solo per politiche dissennate.
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