Consiglio di Stato: le concessioni balneari scadono il 2023, dopo gare aperte alla concorrenza

La sentenza apre uno scenario che si può estendere a tutto il mondo delle concessioni, autostrade comprese. 

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concessioni balneari

Il Consiglio di Stato mette finalmente un punto fermo al teatrino del rinnovo delle concessioni balneari sulle spiagge demaniali: l’attuale regime varrà solo fino al 31 dicembre 2023 e non al 2033 come aveva stabilito nel 2018 il governo Lega-M5s: dopo, non ci sarà alcuna possibilità di proroga ulteriore, neanche per via legislativa, e il settore sarà comunque aperto alle regole della concorrenza.

Il Consiglio di Stato, decidendo sul contezioso tra amministrazioni locali e concessionari balneari, ha stabilito un termine perentorio, scaduto il quale «tutte le concessioni demaniali dovranno considerarsi prive di effetto, indipendentemente se via sia – o meno – un soggetto subentrante nella concessione» aprendo il settore alla concorrenza.

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La decisione era attesa, non solo dalle parti in causa. Il governo con il provvedimento sulla concorrenza aveva congelato il nodo delle liberalizzazioni delle concessioni balneari, sul quale pende un conflitto con l’UnioneEuropea sulla normativa Bolkestein relativa sul mercato interno.

A sentenza appena pubblicata, gestori e centro destra hanno innalzato le barricate. «Spiagge e mercati italiani non sono in svendita, si rassegnino i burocrati di Bruxelles e i loro complici» ha tuonato rodomontescamente il leader della Lega, Matteo Salvini. Per la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, la sentenza «rappresenta un colpo mortale per il turismo balneare italiano», chiedendo al governo di riferire in Parlamento. Su posizioni opposte, Riccardo Magi di +Europa, per il quale il «Consiglio di Stato ordina ciò che chiediamo da anni» e ora va adeguato il ddl Concorrenza.

Gli imprenditori del settore lanciano l’allarme: «si rende fortemente instabile un settore che conta circa un milione di lavoratori» dice Marco Maurelli presidente, di Federbalneari Italia.

Secondo il Consiglio di Stato, il confronto concorrenziale, oltre ad essere imposto dal diritto Ue, «è estremamente prezioso per garantire ai cittadini una gestione del patrimonio nazionale costiero» e contribuire «in misura significativa alla crescita economica e, soprattutto, alla ripresa degli investimenti di cui il Paese necessita», bocciando di fatto la proroga per un quindicennio delle concessioni introdotta nel 2018 con la legge di Bilancio. «Al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere – prosegue la sentenza – per consentire di predisporre i bandi e nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia, le concessioni continueranno a essere efficaci per altri due anni».

Per i supremi giudici amministrativi «le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 sono in contrasto con il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e con la direttiva Bolkestein. Deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari», che potranno partecipare alle gare che dovranno essere bandite.

Per Antonio Capacchione, presidente del Sindacato italiano balneari aderente a FIPE/Confcommercio, «ci riserviamo di leggere con la dovuta attenzione e deferenza le motivazioni della sentenza del Consiglio di Stato sulle concessioni demaniali marittime, all’esito del quale decideremo le iniziative da intraprendere per la tutela di decine di migliaia di famiglie di onesti lavoratori gettate, oggi, nell’angoscia più totale per la prospettiva di perdere il lavoro e i loro beni. Non possiamo non registrare che questa sentenza appare sconcertante prima ancora che sconvolgente – ha continuato Capacchione – perché si discosta da consolidati orientamenti giurisprudenziali, anche costituzionali, a tutela della proprietà aziendale, del lavoro e della certezza del diritto».

Protesta anche Cna Balneari che auspica una riforma del demanio: «è di massima urgenza che Governo e Parlamento approvino una riforma del demanio individuando il giusto equilibrio tra i principi della concorrenza e la doverosa tutela degli investimenti e degli interessi dei concessionari uscenti. Occorre scongiurare – prosegue la nota – un pesante impatto sociale ed economico su 30.000 imprese balneari italiane, e sul loro indotto, che rischiano di essere messe in liquidazione dopo importanti investimenti ancora da ammortizzare per realizzare un’offerta di servizi turistici balneari di alta qualità, capace di attirare clienti e turisti responsabili e di alta gamma, un’esperienza quasi unica nel contesto europeo».

Oggettivamente, quelle accampate dagli operatori balneari (e dalla politica che li spalleggia) sono motivazioni piuttosto pretestuose, in quanto gli investimenti effettuati nel tempo si limitano a beni rimuovibili – e chi frequenta in inverno le spiagge si accorge come siano una landa deserta dal lungomare alla battigia, senza la presenza di alcun investimento stabile –, investimenti che possono essere ceduti sul mercato in caso di loro inutilizzo. Quanto all’arma del personale che perderebbe il posto, anche questa è spuntata, in quanto chi dovesse subentrare nella concessione avrà comunque bisogno di personale e sarà difficile che questo possa venire da lontano.

La sentenza del Consiglio di Stato apre uno scenario interessante che può essere esteso anche ad altri settori dei beni pubblici assegnati in concessione nel passato, poi sempre reiterati con proroghe in capo agli stessi concessionari.

Secondo il presidente dell’Onlit (Osservatorio Nazionale Liberalizzazioni Infrastrutture e Tras), Dario Balotta, «la sentenza del Consiglio di Stato mette la parola fine alle proroghe automatiche e generalizzatedelle attuali concessioni balneari, indicando così anche al ministero della Mobilità sostenibile una via da seguire per il riordino delle concessioni autostradali, che costituiscono anch’esse, come il demanio marittimo, un ricco e strategico patrimonio pubblico che oggi è appannaggio solo dei gestori, ai danni dei consumatori. Il recente decreto Infrastrutture, invece, non recepisce il diritto Ue e le indicazioni dell’Antitrust italiana, e consente ancora ai gestori di autostrade già largamente ammortizzate di evitare le gare come nel caso dell’Autobrennero, già scaduta da ben 7 anni. Il tutto grazie all’adozione di nuovi Project Financing e al parternariato pubblico privato (PPP), che garantirebbero la proroga delle concessioni ai gestori attuali sotto la nuova veste di procacciatori di investimenti per nuove autostrade di dubbia utilità, come nel caso della Cispadana».

«Ci si dimentica – puntualizza Balotta – che tutti i tentativi di coinvolgere il capitale privato per nuove autostrade come la Pedemontana lombarda e la Brebemi sono falliti: sono dovute intervenire le risorse pubbliche di Cassa depositi e prestiti e Banca europea degli investimenti per ultimare i lavori, e quelle dello Stato e delle regioni per non far fallire i concessionari. Anche per l’Italia è giunto il momento di seguire quanto sta facendo la Spagna: al termine delle concessioni, le autostrade devono tornare nella piena disponibilità dello Stato e liberalizzate – cancellando il pedaggio – per gli utenti».

Ecco come la graffiante matita di Domenico La Cava interpreta la situazione.concessioni balneari

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