Ddl Zan, al Senato figura barbina del Pd di Letta

La sfida contro i numeri dell’aula consegna il fallimento di una delle bandiere identitarie democratiche. Festeggia il centro destra per l’unità d’intenti ritrovata. 

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Il leader e neo deputato del Pd, Enrico Letta, ha voluto fare il bluff sul tavolo del Senato con il Ddl Zan uscendone con le ossa rotte non avendo la certezza dei numeri per fare passare una delle bandiere identitarie del partito, il disegno di legge proposto da Alessandro Zan contro la presunta omofobia. Una proposta di legge che ha suscitato nel corsodella discussione posizioni contrastanti e divisive che l’appello ad una moderazione e ad una condivisione dei principi non è riuscito a smuovere.

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Conseguentemente la mano di poker politico giocata da Letta, probabilmente ingannato dal successo fatuo delleamministrative della scorsa settimana, ha scaturito una sconfitta degna di un principiante della politica più di un personaggio che dovrebbe essere sufficientemente navigato, già capo di governo giubilato all’insegna di un ormai storico “Enrico stai sereno”.

Tant’è: il Pd raccoglie la tempesta che ha seminato, specie sui passaggi più divisivi del Ddl Zan, da quelli dell’obbligo dell’identità di genere, la celebrazione obbligatoria in tutte le scuole, comprese quelle cattoliche in spregio degli accordi del Concordato, della giornata nazionale contro l’omotransfobia e la limitazione delle libertàdi espressione per coloro che non si riconoscono nei temi professati dalla realtà gay e lesbica, ad iniziare dal concetto di famiglia. Bastava poco, qualche piccola modifica di principio e la norma avrebbe potuto essere approvata anche dal Senato. Ma così non è stato e Letta (e Zan) si è schiantato a tutta velocità contro il muro dei numeri mancanti.

La votazione sul Ddl Zan ha evidenziato anche un aspetto politicamente molto importante: al Senato l’area della sinistra allargata non è maggioritaria e la cosa potrebbe avere un peso strategico fondamentale in vista per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica a febbraio prossimo. Una situazione che, per la prima volta negli ultimi vent’anni, mostra come il centro sinistra non è autonomo nella elezione del capo dello Stato e dovrà forzatamente venire a patti con il centro destra, soprattutto a seguito dei numeri dei grandi elettori regionali, con la maggioranza saldamente in mano al centro destra.

Ecco come la graffiante matita di Domenico La Cava interpreta la situazione.ddl zan

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