Andrea Orlando è un esponente di lungo corso dell’apparato di potere della sinistra, prima tra le file del glorioso Pci spezzino, poi tra quelle del Pd, scalando le varie gerarchie fino a diventare vicesegretario nazionale sotto l’ingloriosa gestione di Nicola Zingaretti che ora da ministro al Lavoro si propone di spaventare le multinazionali colpevoli di fare fagotto senza preavviso e di abbandonare il Belpaese per altri lidi produttivi.
Nella sua esperienza di uomo d’apparato oltre che di politico di lungo corso (è stato eletto ininterrottamente dal 2006) e di quattro volte ministro (all’Ambiente con Letta; alla Giustizia con Renzi e confermato da Gentiloni; ora al Lavoro), Andrea Orlando dovrebbe avere maturato sufficienti esperienze che l’economia non la si governa solo con i desideri di partito.
Fa sorridere che, dinanzi all’ennesimo addio al Belpaese da parte di alcune multinazionali che hanno lasciato sulla strada qualche centinaio di lavoratori, Orlando gonfi il petto e faccia la faccia truce nel tentativo di incutere timore alle multinazionali che, finiti gli incentivi, cambiano scenario produttivo alla ricerca di condizioni migliori. Non saranno né la richiesta di preavviso di 6 mesi dalla chiusura, ne le multe del 2% del fatturato, ne l’obbligo di restituzione dei contributi pubblici fruiti negli ultimi tre anni a fermare l’adieu dei grandi kombinat esteri. Soprattutto se gli accordi sottoscritti sono stati portati a termine.
Piuttosto che baloccarsi con improbabili ukaze pregni di nostalgia (li ricordate i piani quinquennali dell’economia sovietica?), Andrea Orlando farebbe meglioad impegnarsi a risolvere una volta per tutte i problemi della scarsa competitività del sistema produttivo italiano, a partire dal cuneo fiscale, dall’eccessivo carico fiscale gravante su aziende e lavoratori, certezza del diritto e costo delle materie prime regolamentare, a partire da quello dell’energia che in Italia costa circa il 60% in più che all’estero.
Ecco, secondo “Lo Schiacciasassi” non è con improbabili decreti “Dignità” (ve la ricordate la prova data da un certo Luigi Di Maio nel Conte I come ministro allo Sviluppo economico e lavoro?) che si regola l’economia e il mercato del lavoro. Serve mettere mano alle condizioni di base, stabilendo regole chiare e univoche, non lasciate all’interpretazione del momento, sfoltendo tutto quanto è tagliabile per dare vita ad un sistema snello e competitivo. Solo allora, il Belpaese tornerà ad essere attrattivo per i capital esteri.
Ecco come la graffiante matita di Domenico La Cava interpreta la situazione.
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