La crisi politica, sociale ed umanitaria che si è aperta in Afghanistan con la repentina ritirata delle truppe americane e degli alleati Natodopo vent’anni di occupazione con l’altrettanta repentina conquista del potere da parte dei Talebani fa discutere, con tantissime critiche all’operato di Joe “Sleepy” Biden.
Il presidente americano, definito “dormiglione” da parte di Donald Trump nel corso della scorsa campagna elettorale per la conquista della Casa Bianca, pare avere avuto un sussulto di vitalità, dando il via ad un ritiro che è stato mal concepito sotto tutti i punti di vista, con critiche perfino da parte delle forze militari che si sentono defraudate di vent’anni d’impegno e di migliaia di caduti sulle sabbie del Paese nello sforzo di combattere il terrorismo e di esportare la democrazia.
Se per il fattore terrorismo probabilmente la partita è stata vinta, su quello democratico e anche sociale il fallimento è su tutta la linea, e a pagare lo scotto maggiore rischiano di essere le donne di tutte le età e censi, memori di quanto avevano loro imposto vent’anni fa i talebani: divieto di studio e di lavoro, vita solo in famiglia, annullamento della loro personalità e fisicità con l’imposizione del burka.
I problemi sono ora connessi con la massa di persone che non vogliono ripiombare nel medioevo, anche se i nuovi governanti dichiarano che le cose sono cambiate rispetto a prima. All’insegna del “meglio non fidarsi”, sono molti, ad iniziare da coloro che hanno collaborato con gli occidentali e rivestito ruoli all’interno della società afghana, a tentare la via della fuga all’estero, via che incrocia il corridoio orientale che conduce al Friuli Venezia Giulia, che già negli ultimi tempi ha registrato una decisa crescita degli arrivi dall’area mediorientale.
Con la fuga degli occidentali dall’Afghanistan cambiano gli assetti geopolitici, specie per quanto riguarda le risorse minerarie, con la Cina che si prepara a banchettare con i giacimenti di terre rare e pagarne lo scotto rischia proprio l’Occidente con il settore dell’energia e della tecnologica che rischia grosso, b.
E che dire della latitanza del ministro degli Esteri italiano, tal Luigi Di Maio che, nel colmo della crisi dell’Afghanistan, sta tranquillamente a bagnomaria sulle spiagge pugliesi tenendo al fresco i propri gioielli: per fortuna che, come nel caso della crisi sanitaria, c’è il premier Mario Draghi che non ci ha pensato due volte a scavalcare il ministro vacanziero e mettere in chiaro la linea di politica estera italiana. Viene spontaneo chiedersi se l’Italia abbia ancora la necessità di avere Di Maio come ministro degli Esteri e, in subordine, anche come un qualsiasi componente del gabinetto Draghi. “Lo Schiacciasassi” crede che il Paese potrebbe farne tranquillamente a meno, così come non sentirebbe la mancanza di almeno altri 4-5 ministriletteralmente insussistenti.
Ecco come la graffiante matita di Domenico La Cava interpreta la situazione.
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