Lo scenario internazionale caratterizzato da forti aspettative sulla ripresa ha indotto abnormi aumenti nei prezzi delle materie prime utilizzate dalle imprese italiane. Gli aumenti dei prezzi internazionali in dollari sono a doppia cifra: rame +43% a giugno da ottobre 2020, ferro +79%. E sono molto diffusi: riguardano metalli, alimentari, materie plastiche, legno, petrolio. Per alcune commodity si nota di recente una pausa (es. grano). C’è una forte differenza nei livelli raggiunti dato che, nella prima parte del 2020, alcune (es. petrolio) avevano subito una profonda caduta, altre un calo limitato (es. rame, ferro). Per il petrolio, quindi, si tratta di un recupero più che pieno del prezzo: a giugno era al +15% dal valore pre-crisi; grano e legno sono in condizioni simili. Per altre commodity, invece, i prezzi sono ben oltre: ferro+124%, rame +60% dal pre–crisi.
Quali sono le cause? Si tratta di rincari che vengono da fuori, non nascono in Italia: queste commodity, infatti, sono quotate su mercati internazionali. Va notato che i prezzi di molte materie prime storicamente sono molto legati a quello del petrolio: la correlazione tra grano e petrolio è dell’82%, per il rame arriva all’87%. Un motivo è che c’è una componente comune, legata alle aspettative di crescita/caduta dell’economia mondiale. Un altro motivo è che l’energia è un input importante in varie produzioni. La parte di correlazione residua è dovuta al fatto che numerose commodity fungono anche da asset finanziari, non solo il petrolio. Asset su cui grandi operatori finanziari realizzano acquisti e vendite, spesso molto correlate, legate ai fondamentali dei singoli mercati o solo alle aspettative di ripresa/recessione globale.
Questa “speculazione finanziaria” è spesso responsabile, per molte commodity, dell’accentuazione delle oscillazioni dei prezzi. Questo ci conduce a una domanda: i rincari oggi dipendono da una carenza di produzione nei vari mercati fisici mondiali? Per il petrolio è in atto un riequilibrio, non c’è vera scarsità di offerta, che è contenuta dai produttori. Per il rame, invece, c’è scarsità: la domanda mondiale è molto sopra la produzione. Per il grano, no: la produzione cresce e resta sopra la domanda in aumento.
Rialzi temporanei o permanenti? Non si può generalizzare, visto che le condizioni di mercato fisico mondiale sono così diverse. Se i prezzi di alcune commodity stanno seguendo il rialzo del petrolio, via speculazione finanziaria comune, e se è vero che il greggio si stabilizzerà entro il 2021, allora i rincari potrebbero essere temporanei. È il caso del grano. In altri mercati i prezzi potrebbero restare elevati, anche nel 2022, perché i rincari sono causati da una scarsità di offerta mondiale e occorre tempo per nuovi investimenti (es. rame).
Vari settori industriali in Italia stanno risentendo dei rincari sul fronte dei costi operativi e quindi dei margini. I dati ISTAT, che arrivano al 1° trimestre, per l’aggregato dell’industria fotografano un forte aumento del costo degli input e margini erosi. Naturalmente, l’impatto è maggiore nei settori che fanno uso delle commodity con i più forti rincari. Quanto al 2° trimestre, i rincari delle commodity (+29% da ottobre a giugno) accrescono ancor più i costi delle imprese, mentre queste riescono in modo limitato a ritoccare al rialzo i loro listini. Perciò, il Centro studi Confindustria stima un’ulteriore forte erosione dei margini. L’assottigliarsi del mark-up, per ogni unità di prodotto venduto, comprime il cash flow generato dalle imprese, sommandosi a valori già ridotti nel 2020, con carenza di liquidità e difficoltà a finanziare investimenti. Per la seconda metà del 2021, se i rincari saranno in parte temporanei, la situazione potrebbe migliorare per alcuni settori; penalizzati resterebbero quelli che usano commodity con rincari più permanenti. Tutti i settori si gioveranno del rimbalzo dell’economia: più domanda e qualche spazio per un ritocco dei listini.
Le imprese italiane devono affrontare anche difficoltà nel reperimento delle materie prime, segnalate sempre più spesso. I dati ISTAT suggeriscono che non è un problema generale, ma molto serio in alcuni comparti: per esempio, nel settore dei metalli. Gli imprenditorisegnalano anche un rischio: data l’incertezza su quantità e prezzi, potrebbe non essere più possibile adottare la gestione just in time. Ciò significa dover tenere magazzini più ampi, con un aumento del fabbisogno finanziario delle imprese. Tutto questo agisce da freno alla ripresa in corso nel settore industriale, che invece va favorita e consolidata.
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