Bufera in Consiglio Regionale del Trentino Alto Adige per gli aumenti delle indennità

Blitz della Svp (con appoggio di Lega e Forza Italia) per l’adeguamento automatico degli stipendi dei consiglieri. Solo la sollevazione dei cittadini fa modificare in corner il provvedimento: via libera agli arretrati, ma gli aumenti da 600 euro al mese maturati scatteranno solo la prossima legislatura.

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consiglieri regionali

Nelle pieghe della discussione in Consiglio regionale del Trentino Alto Adige una manina, quella appartenente al presidente dell’Assemblea Josef Nogler (Svp), ha fatto passare una proposta a voto segreto con cui si ripristinano gli aumenti automatici delle indennità dei consiglieri regionali, qualcosa come 600 euro al mese. Una proposta approvata dalla maggioranza regionale fatta da Svp, Lega e Forza Italia.

Un provvedimento che ha mandato su tutte le furie le opposizioni. A segnalare il colpo di mano sono stati i due esponenti di M5s, Alex Marini e Diego Nicolini, cui s’è aggiunto Filippo Degasperi di Onda Civica Trentino. «Complimenti — attacca Riccardo Dello Sbarba (Verdi) — siamo gli unici con uno stipendio che aumenta automaticamente, a differenza di tutti gli altri lavoratori». Altra ciliegina sulla ricca torta delle indennità è costituita dalle modalità di calcolo degli aumenti: «i consiglieri reginali introducono per sé la scala mobile e pure le gabbie salariali – afferma Paolo Zanella (Futura) Perché l’adeguamento degli stipendi dovrà considerare non la media nazionale Istat, ma quella della media delle città di Trento e di Bolzano, dove il valore sia più alto per via del maggiore caro vita».

Attualmente, ogni consigliere regionale del Trentino Alto Adige percepisce un’indennità di 9.600 euro lordi al mese per 12 mensilità, cui vanno aggiunti  un importo forfettario netto mensile per l’esercizio del mandato pari a 700 euro, oltre a un importo di 750 euro mensili per specifiche categorie di spese documentate (come biglietti per viaggi su mezzi pubblici e privati, compresi mezzi aerei e navali; indennità chilometrica; pedaggi relativi al percorso autostradale dichiarato; spese per parcheggi, servizio taxi), 90 euro giornalieri per i pasti, sia in Italia e all’estero; fino a un massimo di 220 euro giornalieri per pernottamenti e prima colazione).

La decisione ha scandalizzato cittadini e sindacalisti, tanto da costringere il Consiglio regionale a fare marcia indietro neanche 24 ore dopo, autorizzando sì l’erogazione degli arretrati, ma congelando l’aumento scattato ora da 600 euro al mese alla prossima legislatura, oltre a bloccare l’adeguamento automatico delle indennità ad una sola volta nel corso della legislatura.

Ora nessuno vuole contestare il fatto che chi ha responsabilità pubbliche abbia diritto ad un congruo emolumento per i servizi prestati alla propria comunità, ma le indennità devono essere riparametrate sulla base dell’effettivo impegno e responsabilità. Non ha senso – oltre ad essere non equopagare un semplice consigliere regionale, magari di maggioranza che non ha nemmeno l’onere di contrastare il governo come fanno invece gli esponenti delle opposizioni – solo per essere presente alle discussioni per assicurare il numero legale e schiacciare il bottone del voto con oltre 10.000 euro al mese, quando un sindaco di un comune, anche grande, prende decisamente meno a fronte di responsabilità decisamente più grandi, ad iniziare da quelle penali che in consiglieri regionali non hanno.

Ecco, un sostanziale ripensamento delle paghe degli esponenti della politica è indispensabile e una buona base di partenza potrebbe essere quella di erogare gettoni di presenza ai consiglieri regionali semplici (200-300 euro a seduta, oltre al rimborso delle spese vive sostenute), mentre le indennità per coloro che ricoprono ruoli di responsabilità le indennità andrebbero parametrate sulla base della media degli ultimi cinque anni dei redditi dichiarati, tale da avvicinare alla politica persone di sicura capacità ed esperienza che normalmente declinano gli onori pubblici per non rimetterci economicamente, per non lasciare la politica solo a pensionati, dipendenti pubblici e nullafacenti vari.

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