Il servizio di polizia di prossimità si traduce in un modello organizzativo delle forze dell’ordine caratterizzato dalla presenza costante e capillare degli agenti sul territorio di interesse in modo da avvicinarle alla comunità di riferimento al fine di ridurne il senso di insicurezza.
Tutte le forze di polizia, per soddisfare tale esigenza, avevano addestrato, nello specifico, un congruo numero di agenti i quali quotidianamente vigilavano il territorio con il precipuo compito di interagire con i cittadini comprendendone le problematiche e con il target di risolvere rapidamente alcuni problemi ancor prima che questi si traducessero in denunzie od altro.
A mio avviso, la polizia di prossimità per eccellenza è la polizia locale, per sua intrinseca natura, per la consistenza delle forze in organico, spesso originarie dello stesso comune in cui prestano servizio, e per le modalità operative; per questo, in molte Regioni italiane, si è puntano molto all’avvicinamento fra polizia localee cittadini con specifici progetti, ben studiati e finanziati, tendenti a creare una collaborazione finalizzata ad aumentare la sicurezza delle città.
Chi non conosce la figura del “bobby” londinese o del carabiniere/poliziotto di quartiere italiano che nel tempo tesse una sorta di tela con la comunità che poi diventa un rapporto di fiducia che mira a ridurre il disordine sociale e la criminalità di basso profilo e che può contribuire a far decrescere i crimini importanti.
Se la polizia di prossimità funziona, il cittadino comune ha un riferimento sicuro per comunicare i suoi disagi derivanti, ad esempio, dal volume eccessivo con cui un artista di strada diffonde la sua musica, dalle deiezioni dei cani abbandonate davanti abitazioni, negozi, esercizi pubblici, dall’abbandono sulla pubblica via di confezioni vuote o semipiene di alimenti o bevande, per informare di situazioni di criticità in cui versano alcune famiglie creando così la possibilità d’intervento a quelle figure specializzate che possono prevenire reati all’interno di nuclei familiari o segnalare luoghi d’incontro di giovani che creano delle zone grigie dove tutto è possibile.
Questo concetto di polizia di prossimità nel mondo anglosassone è definito “Community Policing” ed è stato teorizzato per la prima volta nel 1829 da Sir Robert Peel ex capo della Polizia del Devon. Nel XX secolo dotando le forze di polizia di automobili e con il contemporaneo sviluppo delle telecomunicazioni le strategie delle forze di polizia si sono concentrate sulla risposta rapida alle chiamate di emergenza e la prevenzione era affidata a pattuglie automontate trascurando così la polizia di prossimità.
Un’infinità di pubblicazioni di ricercatori specializzati nel settore hanno dimostrato che il trascurare la polizia orientata alla comunità è un errore. Bisogna aumentare l’uso di pattuglie a piedi con operatori formati ed efficaci che possono incoraggiare la comunità a prevenire la criminalità fornendo consigli ed instaurando un rapporto di fiducia in special modo con i giovani creando la cosiddetta polizia di consenso.
A Rovereto, invece, gli agenti di polizia locale sono stati dispersi nei comuni limitrofi facendogli perdere l’aderenza con il territorio comunale ed il derivante contatto con la popolazione; bisogna rivedere questa politica, ritornando alla polizia locale di Rovereto quale organismo di presenza massiccia e costante sul territorio.
Come si può fare polizia di prossimità se la sola pattuglia automontata presente sul territorio viene chiamata a rilevare un incidente stradale in un comune lontano decine di chilometri, lì permanendo per prolungati periodi? Nel recente dibattito pubblico circa la presenza di giovani che creano disagi alla comunità e consumano reati, a volte gravi, si è detto che la Polizia Locale ha una funzione preventiva mentre le forze di polizia dello Statohanno funzioni repressive e quindi era compito di quest’ultime occuparsene.
Il Codice di Procedura penale indica, chiaramente , quali sono le attribuzioni degli agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria, mentre le leggi di pubblica sicurezza stabiliscono i riferimenti normativi in cui manovrare, non facendo distinguo circa il corpo di appartenenza, rimettendone le competenze alle specifiche funzioni stabilite dalla legge ed, anzi, in ambito preventivo, è proprio della politica il dovere di ricercare la genesi dei disagi che poi portano alcuni giovani a trascurare la formazione scolastica ed abbandonarsi ad atteggiamenti esteriori che dovrebbero suonare proprio come campanelli d’allarme ed in questo la polizia di prossimità potrebbe dare un fondamentale contributo.
Durante il dibattito sulle cosiddette “baby gang” si era parlato, altresì, di dotare la polizia locale di una unità cinofila ma anche in questo caso si è pensato bene di bocciare il tutto in quanto i cani dovevano servire a fare “pet therapy” e non potevano essere utilizzati come strumento di prevenzione al consumo ed allo spaccio di stupefacenti.
Mi son chiesto cosa ci sia di repressivo nell’operare controlli giornalieri presso la stazione dei treni, nelle varie fermate degli autobus di linea che portano i giovani a Rovereto, nei parchi cittadini, nei luoghi di aggregazione giovanile al fine di prevenire che loschi figuri avvicinino i nostri giovani per iniziarli all’uso degli stupefacenti o convincerli a passare dall’uso di sostanze cosiddette leggere a quelle pesanti con effetti devastanti sulla persona?
In tutta Europa, negli USA, in moltissimi comuni italiani, anche più piccoli di Rovereto, le polizie locali sono dotate di un’unità cinofila perché la gente comune ha segnalato questa esigenza ai loro referenti di quartiere ottenendo dei risultati prima di tutto preventivi e poi, a secondo le circostanze, di contrasto allo spaccio molto apprezzati dalla comunità.
Mi auguro che la politica, alla luce di quanto rappresentato, riveda queste convenzioni con altri comuni, a volte molto lontani, ritornando alla polizia locale di Rovereto con la quale sviluppare un’efficace servizio di polizia di prossimità unico antidoto al dilagante senso di insicurezza percepito dai cittadini.
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