In fatto di commercio dell’acciaio, l’Italia è un importatore netto: negli ultimi 5 anni l’import è stato di circa 20 milioni di tonnellate l’anno, mentre l’export è stato di circa 17,5 milioni. La quota di import sulla produzione nazionale è dell’89%, notevolmente superiore alla media mondiale. Per queste ragioni, la nuova misura del “Carbon Border Adjustment Mechanism” (Cbam) che la Commissione europea presenterà nel pacchetto “Fit for 55”, secondo quanto annunciato, potrebbe avere un impatto sull’acciaio nazionale superiore alla media europea.
Secondo il webinar di siderweb “Commercio internazionale di acciaio: quali prospettive?” cui hanno partecipato rappresentanti di Federacciai e Assofermet Acciai, il Cbam, parte del “Green Deal” europeo, nasce per disincentivare il “carbon leakage”, cioè il trasferimento della produzione, e quindi delle emissionidi CO2, in Paesi che applicano norme meno severe per quanto riguarda le emissioni. Pone un prezzo del carbonio sulle importazioni di acciaio provenienti dall’esterno dell’Ue (e di altri beni come cemento, elettricità e alluminio). Gli importatori saranno obbligati a ottenere un’autorizzazione da parte della “Cbam Authority”: senza di essa, non sarà possibile acquistare al di fuori dell’Ue i prodotti sottoposti alla normativa. Dovrebbe entrare in vigore nel 2023. Ma le conseguenze sul commercio dell’acciaio potrebbero essere pesanti.
Prendendo come riferimento i volumi di import italiano del biennio 2018/2019, più vicini alla media storica rispetto al 2020, «circa 9 milioni di tonnellate di acciaio saranno soggetti al Cbam, di cui circa 4 milioni di tonnellate di semilavorati e poco più di 5 milioni di tonnellate di prodotti piani – ha spiegato Davide Lorenzini, direttore responsabile di siderweb -. Il Cbam potrebbe far crescere i costi di approvvigionamento, andando a incidere in maniera significativa sulle marginalità sui prodotti importati da fuori Ue, sia sulla competitività dell’export in Paesi terzi. Una condizione che rende l’Italia molto più fragile di altri competitor continentali per mancanza di materia prima interna».
Il Cbam è «tecnicamente valido in chiave ambientale, ma decisamente complesso e articolatonell’attuazione. E se non ci sarà la risoluzione di alcuni punti critici, il sistema non potrà funzionare – ha detto Flavio Bregant, direttore generale di Federacciai –. In primo luogo non si capisce perché l’acciaio inossidabile sia escluso». La diversità del ciclo produttivo, poi, è un altro ordine di complessità: «una cosa è l’acciaio prodotto dal ciclo integrale, con il suo tipo di emissione; altra è l’acciaio da forno elettrico. Bisognerà capire come si gestiranno le differenze nel prodotto finale». Infine, secondo Bregant cruciale sarà mettere «in grado i produttori europei di andare sui mercati terzi. Se infatti chi sarà sottoposto al Cbam perderà anche le quote ETS gratuite per l’emissione di CO2, o se non si penserà a un “export rebate”, è chiaro che i produttorieuropei non esporteranno più un chilo di acciaio».
Secondo Paolo Sangoi, presidente di Assofermet Acciai, che rappresenta i distributori di acciaio, «il Cbam, per come è stato concepito perlomeno in bozza, sembra essere l’erede della “Salvaguardia” (regolamento che fissa un tetto all’import di acciaio in Ue, superato il quale si applica un dazio del 25%, ndr). Facciamo in modo che non sia così. Siamo estremamente preoccupati per quel che sarà il caro prezzi che inevitabilmente avremo sul commercio dell’acciaio, con un’esplosione del tasso di inflazione. Soprattutto in una fase di accelerazione dell’economia e della forte domanda di acciaio».
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