In Europa è guerra tra le etichette alimentari, tra la “Nutriscore” a semaforo e il “Nutrinform” a batteria, due sistemi di valutazione della salubrità dei prodotti alimentari, con la prima che li boccia o li promuove a seconda della presenza di grassi, zuccheri, sale ed altri elementi poco salubri soprattutto se consumati in eccesso, e la seconda che indica la presenza di sulla base del peso. Di fatto, con il “Nutriscore” supportato dalle multinazionali dell’alimentare il prodotto viene bocciato se contiene anche percentuali limitate di elementi insalubri, mentre il “Nutriform” offre al consumatore un panorama più equilibrato.
Di fatto, il “Nutriscore” finisce con il promuovere tanti prodotti di origine industriale che di naturale hanno ben poco, come la carne veggy o il latte di piselli, mentre finisce con il bocciare l’olio extravergine d’oliva o il prosciutto crudo per l’elevato contenuto di grassi.
Come sempre, il problema sta nella quantità di prodotto che si consuma: ai voglia a trangugiare 100 grammi a pasto di olio extravergine o di formaggio grana o di prosciutto! Più facile tracannare uno di quei beveroni industriali tanto cari alle multinazionali.
A questo proposito, fa discutere il rapporto interno stilato dalla multinazionale svizzera dell’alimentareNestlè (90 miliardi di euro di fatturato, 3.000 marchi di proprietà) diffuso dal Financial Times, rilanciato da Il Sole 24Ore e da La Verità, secondo cui oltre il 60% dei prodotti alimentari della multinazionale non potrà mai dirsi sano e che tutti i suoi prodotti non sono totalmente esenti da criticità. Cibi che vengono invece promossi dal sistema “Nutriscore”, ad iniziare dall’ultimo della serie, il Wunda, un beverone a base di piselli e di un’altra decina di sostanze che dovrebbe sostituire il latte che si è trionfalmente aggiudicato la certificazione “A”. – la migliore – del “Nutriscore”.
Ecco, se le etichette alimentari fossero più attente all’effettiva origine e lavorazione del prodotto che si mette in pancia, le cose cambierebbero, come ammette la stessa Nestlè nel suo rapporto riservato, secondo cui il 63% dei suoi prodotti non passerebbe i limiti della certificazione australiana “Access to Nutrition Foundation”, che il 96% delle bevande (escluso il caffè puro) e il 99% di gelati e pasticceria sono fuori dai parametri, mentre solo il 60% dei formaggi è insano.
A seconda dell’etichettatura prescelta, si possono determinare successi o fallimenti e il sistema alimentare italiano che vale 140 miliardi di fatturato di cui 42 dall’export è fondamentale che i prodotti genuini e tradizionali, quelli che costituiscono il successo della “Dieta mediterranea”, Patrimonio immateriale dell’Umanità Unesco, vengano premiati.
Ecco come la matita graffiante di Domenico La Cava interpreta la situazione, con particolare attenzione al “caso” Nestlè.
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