Nel linguaggio comune per propaganda si intende la diffusione deliberata e sistematica di informazioni e messaggi volti a fornire un’immagine, positiva o negativa, di determinati avvenimenti. Il lavoro di Andrea Cotticelli, edito da Pagine per la collana “i Libri del Borghese”, getta un faro su questo aspetto, con un particolare fuoco sulla propaganda politica dell’Italia in guerra degli inizi del Novecento.
A partire dalla Grande Guerra del 1914-1918 la propaganda politica divenne una componente essenziale della società di massa, in quanto furono le autorità statali a impadronirsi dei metodi e delle tecniche propagandistiche per rendere popolare presso l’opinione pubblica la causa della guerra. E gli organi di stampa, anche per mezzo di una pressante censura, furono costretti ad adeguarsi al sistema, trasformandosi da organi di informazione ad organi di propaganda.
Secondo i canoni dell’epoca, dettati soprattutto da orgoglio nazionale, la propaganda è necessariamente impostata in chiave ottimistica sia per incidere positivamente sul morale delle truppe al fronte e sulla popolazione civile, che segue con trepidazione l’evolversi della guerra, sia per mettere a tacere quei disfattisti che immancabilmente tentano di far sentire ovunque la loro voce dissenziente.
L’attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914 si abbatte improvviso sullo scenario europeo e la stampa ne illustra incredula gli avvenimenti, paventando sventurate conseguenze ma ancora speranzosa in una positiva soluzione del funesto incidente. Quando ormai gli avvenimenti precipitano e l’Europa si appresta a diventare un campo di battaglia, in Italia si accende la disputa tra neutralisti ed interventisti e la stampa si divide tra i due schieramenti, ciascuno esponendo con slancio le proprie motivazioni a favore o contro l’intervento.
Con l’entrata in guerra dell’Italia il 24 maggio 1915, la stampa si prodiga in articoli pieni di entusiasmo volti a far rivivere negli animi sentimenti patriottici come il mai accantonato desiderio di portare a compimento il Risorgimento Italiano. Da questo momento entra in funzione la macchina della propaganda controllata dallo Stato. Gli avvenimenti vengono riferiti in modo strumentale a veicolare un’immagine ottimistica del conflitto. Ai freddi bollettini di guerra si alternano articoli con un misto di cronaca, impressioni generiche e descrizione dell’ambiente sempre in senso favorevole e sotto l’occhio vigile della censura, a tal punto che spesso si possono rinvenire sulle pagine dei quotidiani spazi completamente bianchi là dove l’inviato aveva scritto articoli non graditi.
Il fronte delle battaglie copre tutto l’arco alpino nord–orientale, dal Trentino all’Isonzo. Dopo le prime entusiastiche azioni, il conflitto assume subito l’aspetto di una guerra di logoramento, dove ai pochi passi in avanti fatti dagli italiani corrispondono prontamente contrattacchi austriaci che riportano in breve tempo le linee alle posizioni originarie. La stampa esalta con enfasi le truppe quando avanzano con luminoso slancio verso l’alto delle vette alpine e con altrettanta enfasi ne celebra le notevoli capacità di resistenza quando subiscono le controffensive nemiche.
«Vittoria! Vittoria! Vittoria» sono le parole che echeggiano sulle testate dei giornali quando i militari italiani entrano a Gorizia e le pagine si riempiono di articoli colmi di ammirazione per gli indomiti soldati, mentre cartoline di propaganda diffondono immagini satiriche sulla scomposta ritirata degli austriaci.
Nell’ottobre 1917, dopo la disfatta di Caporetto, i giornali, pur pubblicando notizie di una ritirata verso posizioni strategiche prestabilite, non abbandonano i toni di incoraggiamento, nella consapevolezza che l’esercito, «al quale sono affidati l’onore e la salvezza del Paese, saprà compiere il proprio dovere».
Quando il 3 novembre 1918 le truppe italiane entrano a Trento e Trieste, la stampa italiana tutta, forse questa volta senza bisogno di toni propagandistici e tagli di censura, glorifica la gioia della Nazione intera: «L’impeto con cui i cittadini, anche senza conoscersi, hanno sentito il bisogno di abbracciarsi piangendo, ha ben dimostrato che queste emozioni saranno indimenticabili: e le generazioni future a cui ne tramanderemo il ricordo ci invidieranno queste ore sublimi nelle quali ci è sembrato di sognare».
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