Abbiamo un Governo guidato dal premier Draghi che ora dovrà confrontarsi con molti temi, ad iniziare dalla previdenza. Dopo il tentativo, andato a vuoto, di riformulare il Conte Ter, Mattarella giustificando la pandemia come ostacolo ad una tranquilla campagna elettorale, ha affidato l’incarico di formare il nuovo governo a Mario Draghi. Questo banchiere, alto dirigente statale, tecnico e anche politico ha formato un governo con otto tecnici e quindici politici che presumibilmente durerà un anno e porterà l’Italia a nuove elezioni.
Praticamente tutti i partiti, ad eccezione di Fratelli d’Italia, hanno accettato di far parte di questo nuovo esecutivo che qualcuno ha definito di scopo, qualcun altro istituzionale, qualcuno tecnico. Probabilmente nessuna di queste etichette è esatta. Diciamo solamente che preso atto del fallimento della politica e non volendo andare alle urne il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha affidato questo gravoso compito all’ italiano vivente più rappresentativo a livello politico-economico.
Non è un governo tecnico e non solo perché c’è la presenza di quindici ministri politici. L’associazione governo Draghi simile al governo Monti non è corretta. Nel 2011 la situazione economica era profondamente diversa. Non c’erano fondi, bisognava fare in fretta e ridurre le spese, ed infatti fu realizzato un governo “lacrime e sangue”. Ricordate la famosa legge Fornero sulle pensioni? Oggi, invece, siamo in una situazione diametralmente opposta. Ci sono molti fondi da spendere a patto di spenderli bene sotto il controllo dell’Unione Europea.
Ma anche le due figure di presidente del Consiglio sono completamente diverse. Monti è un tecnico puro. Draghi oltre che tecnico è anche un politico. E lo ha dimostrato negli otto anni di presidenza della Banca Centrale Europea (BCE), prendendo talvolta decisioni molto in contrasto con i vari governi europei, in particolar modo nei confronti della Germania.
Memorabile fu la sua battaglia per salvare l’Euro nel 2012 e successivamente nel 2015 il famoso “Quantitative easing” con cui la BCE acquistò titoli di stato dei paesi dell’Eurozona per diverse decine di miliardi di euro al mese per superare la stagnazione presente in quegli anni e portare l’inflazione almeno al 2% annuo per stimolare la ripresa economica.
Ora, come dicevo sopra, Draghi ha un compito preciso. Risolvere il problema pandemia, attuando un piano vaccini degno di questo nome e fare i progetti per il piano di ripartenza dell’economia nazionale. Inoltre, deve attuare quelle riforme che l’Italia aspetta da decenni, ad iniziare da giustizia, pubblica amministrazione, fisco, previdenza, ecc.
Per la previdenza, in particolare, è necessaria una riforma di ampio respiro. E non soltanto perché alla fine dell’anno terminerà la sperimentazione di “quota 100” e, non intervenendo, si formerebbe in un solo giorno uno “scalone” di ben cinque anni per accedere alla pensione di vecchiaia, passando da 62 anni a 67 anni.
C’è la necessità di una riforma strutturale della previdenza, che sia sostenibile per le casse dello Stato e che tenga conto, oltre di chi sta andando in pensione, anche dei giovani, delle donne e di chi in pensione si trova già.
Che fare? Per la pensione di vecchiaia sarebbe utile fissare il limite a 66 anni (uno di meno dell’attuale) e, per evitare lo “scalone”, operare una flessibilità a partire da 63 anni con penalizzazione del 2% per ogni anno di anticipo. Per la pensione anticipata la proposta è di fissarla a 41 anni e 6 mesi di anzianità e, solamente per le donne, operare una flessibilità di un anno in anticipo con penalizzazione del 3%, rendendo inoltre strutturale l’istituto di “Opzione Donna”.
Oltre a questo, bisogna tenere conto di chi perde il lavoro (e lo si è constatato drammaticamente in questo terribile anno), di chi compie lavori usuranti e di chi ha malattie invalidanti.
Per i giovani bisogna assolutamente fare qualcosa. Loro sono i più penalizzati a livello previdenziale perché hanno carriere discontinue, cominciano a lavorare molto tardi ed essendo la loro pensione calcolata esclusivamente con il sistema contributivo si ritroveranno alla fine della loro carriera lavorativa pensioni che non supereranno il 50% del loro ultimo stipendio (oggi si arriva e anche si supera l’80%).
Si potrebbe intanto praticare una detrazione del 50% degli importi versati nella previdenza complementare e attuare una minore tassazione alla fine dei versamenti effettuati. Ed inoltre si dovrebbe creare un fondo pubblico che copra eventuali buchi contributivi.
Per i pensionati istituire una “no tax area” fino a 12.000 euro/anno, con eliminazione delle addizionali regionali e comunali e indicizzazione al 100% delle pensioni sull’inflazione maturata.
Come si vede, è indispensabile attuare una riforma previdenziale ampia, strutturale e soprattutto duratura e con la certezza del diritto.
Dopo aver fatto questo (e già sarebbe tantissimo) il premier Draghi dovrà farsi da parte e permettere che i cittadini attraverso libere elezioni possano scegliersi serenamente da chi vorranno essere governati per i successivi cinque anni perché ormai in Italia si è da troppi anni che privi di presidenti del Consiglio votati dagli elettori.
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