Nei giorni scorsi, l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) guidato da Giuseppe Pisauro in occasione di un’audizione alle commissioni Finanze di Camera e Senato ha affermato che il regime forfettario ha creato iniquità e che non ci sono risorse sufficienti per una riforma fiscale.
«Pisauro, da alto funzionario dello Stato, probabilmente ha guardato solo ad un aspetto del problema complessivo della rivisitazione del sistema fiscale italiano, invero eccessivamente vessatorio per i contribuenti onesti e dannatamente farraginoso per il corretto adempimento di tutti gli obblighi, perdendo di vista il tema nella sua complessità» commenta il deputato leghista, Massimo Bitonci, già sottosegretario alle Finanze e “padre” del regime forfettario.
Il sistema della tassazione forfettaria per i lavoratori autonomi e Pmi, inizialmente prevista per tutti i contribuenti con partita Iva con un fatturato complessivo fino a 65.000 euro, che poi avrebbe dovuto estendersi fino ad una soglia di fatturato di 100.000 euro, «ha avuto un grande successo tra i contribuenti e anche per lo stesso Fisco, in quanto ha fatto emergere quella platea di piccoli operatori che fino ad allora avevano operato in nero – afferma Bitonci -. Peccato solo che il governo BisConte guidato dalle sinistre l’abbia sostanzialmente depotenziata, senza riuscire a cancellarla del tutto».
L’aver drasticamente semplificato gli adempimenti per i soggetti aderenti al regime forfettario e abbassato in modo congruo il prelievo fiscale ha fatto sì di incrementare il numero di aperture di nuove partite Iva e di “spingere” alla crescita tante attività timorose del passaggio di scaglione fiscale, con eccessiva penalizzazione sul maggiore fatturato conseguito.
«Di qui a buttare via con l’acqua sporca anche l’unica, concreta riforma fiscale degli ultimi vent’anni ce ne corre! – commenta Bitonci -. Da ex sottosegretario alle Finanze credo che sia interesse dello Stato garantirsi una più ampia base fiscale, favorendo la riduzione dell’economia sommersa – che in Italia viaggia nel 2018 (ultimo dato disponibile) attorno ad una media del 12% del Pil circa, pari a 211 miliardi di euro – facilitando contemporaneamente il corretto comportamento dei contribuenti: cosa che si ottiene semplificando drasticamente gli adempimenti tributari e applicando aliquote tributarie che non esproprino oltre il 60% del fatturato maturato dalle partite Iva come accade oggi».
Di qui l’appello al prossimo governo, «qualsiasi esso sia, ad affrontare compiutamente il tema della riforma fiscale e della burocrazia – un fardello che, secondo le analisi di The European House Ambrosetti e Cgia di Mestre pesa sul sistema economico per oltre 57 miliardi di euro all’anno di extracosti facilmente aggredibili con una riforma a costo zero per lo Stato – nel riprendere in mano, ampliandolo, il sistema della tassazione forfettaria, portando il regime ad un tetto di almeno 100.000 euro con il 15% di prelievo e all’istituzione di un’area di esenzione fiscale uguale per tutti i contribuenti – dipendenti, autonomi, pensionati – di circa 10.000 euro, tale da risolvere anche l’annoso problema degli incapienti».
A chi tema il mancato gettito dalla riduzione delle aliquote con il sistema forfettario, Bitonci ricorda che «con la forfettizzazione del sistema fiscale porta con sé anche la diminuzione delle deduzioni, ampliando conseguentemente il gettito fiscale, equilibrando il dare-avere tra i Contribuenti e lo Stato. Si tratta di un passo che l’Italia può e deve fare, soprattutto nell’ottica di rilancio dell’economia nazionale».
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