La situazione dei terreni agricoli in Italia è stata fotografata a fondo dal Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura. A livello generale, dopo due anni di seppur lenta crescita, nel 2019 i prezzi della terra in Italia hanno tirato il freno, segnando un leggero -0,4%, complice la riduzione delle compravendite dopo quattro anni di continui aumenti.
Non è andata meglio nel 2020: le stime, condizionate dall’impatto della pandemia, risentono delle preoccupazioni legate alle misure di confinamento, delle difficoltà di reperimento della manodopera e del calo della domanda in alcuni settori, come agriturismo e vino. Preoccupazioni concentrate soprattutto al Sud, mentre nelle aree del Nord si ritiene che l’attività di compravendita sia bloccata solo momentaneamente e potrebbe ripartire già nel 2021, anche se restano le incertezze per le tipologie aziendali più colpite, come viticoltura e floricoltura.
La situazione patrimoniale varia comunque da zona a zona. In Liguria, i terreni agricoli sono i più cari d’Italia: nelle colline litoranee del NordOvest ligure il valore medio supera i 100.000 euro a ettaro. All’opposto, nelle aree di montagna interna delle isole non si arriva a 6.000 euro. Gli ultimi dati disponibili certificano l’estrema diversità dei valori fondiari italiani, che vantano due primati a livello europeo: quello della regione con i valori più alti (la Liguria appunto) e la variabile di oscillazione più ampia rispetto alla media, fissata dall’Eurostat a 40.000 euro (comunque al secondo posto assoluto dopo l’Olanda).
La riduzione dei prezzi medi è comunque addebitabile essenzialmente a quanto avvenuto in due regioni, Veneto e Friuli Venezia Giulia, dove si sono registrati i ribassi maggiori, rispettivamente -2,8% e -4,5%. Segno meno anche in Lombardia, Emilia Romagna e Sardegna, ma con cali solo frazionali. I motivi di questa diminuzione sono da ricercarsi nel progressivo aggiustamento delle quotazioni in Veneto – che detiene il primato dei valori medi regionali insieme al Trentino Alto Adige con oltre 50.000 euro a ettaro – nelle continue difficoltà registrate nel comparto dei seminativi a causa della scarsa redditività e nella percezione di una certa saturazione nel comparto vitivinicolo che non sembra avere più l’effetto trainante di qualche anno fa sul mercato fondiario.
In generale, sono i terreni agricoli di pianura a ottenere i risultati peggiori (in media -1,2%), mentre le zone collinari e quelle montane hanno visto qualche modesto aumento. Una tendenza legata al cambiamento dei sussidi europei della politica agricola comune, con la lenta ma continua riduzione del sostegno alle aziende di pianura e il progressivo aumento degli aiuti a ettaro per le superfici montane e collinari.
Secondo gli analisti è probabile che i prezzi scontino anche l’incertezza sul futuro della Pac, la politica agricola comune dell’Unione europea, attualmente in discussione. La frenata dell’ultimo anno non deve però trarre in inganno: dai dati distinti per macro ripartizioni territoriali emergono negli ultimi vent’anni dinamiche fortemente differenziate, con crescite a doppia cifra al Nord (+39% nel NordOvest, +28% nel NordEst) e di appena il 6% nel Mezzogiorno, Isole escluse dove la variazione è stata invece negativa (-0,9%).
A livello regionale la crescita più sostenuta si è riscontrata in Liguria, con quasi il 62% di aumento dal 2000 al 2019, ma nei livelli assoluti i valori fondiari più elevati restano quelli in Trentino Alto Adige e Veneto, i più bassi in Sardegna e Basilicata. In Europa, detto del primato dell’Olanda con una media di 63.000 euro a ettaro, la Cenerentola è la Romania dove un ettaro costa in media meno di 2.000 euro. Un prezzo che ha favorito la corsa agli acquisti esteri successiva all’ingresso nell’Unione europea del 2004 quando anche i paesi dell’Europa Centrale e Orientale hanno cominciato a incassare gli aiuti europei.
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