Anche se in termini assoluti la somma non sia trascurabile, i 29 miliardi di euro di aiuti diretti erogati fino ad ora dal governo BisConte alle attività economiche coinvolte dalla crisi economica pandemica sono stati del tutto insufficienti a lenire le difficoltà subite dagli imprenditori per conseguenze non dipendenti da loro.
Secondo i calcoli effettuati dalla Cgia di Mestre, se si rapportano questi 29 miliardi alla stima riferita alle perdite di fatturato registrate l’anno scorso dalle imprese italiane colpite dalla crisi economica, importo che sfiora i 423 miliardi di euro, il tasso di copertura è stato pari a poco meno del 7% circa: un’incidenza decisamente risibile. E in attesa dei nuovi ristori previsti nei prossimi giorni, l’arrabbiatura e il malessere tra gli operatori economici sono sempre più diffusi, in particolar modo tra coloro che conducono attività di piccola dimensione.
Per gli artigiani mestrini è doveroso intervenire affinché gli operatori economici che sono stati costretti a chiudere l’attività per decreto vengano aiutati economicamente in misura maggiore di quanto è stato fatto fino ad ora. Altrimenti, rischiano di chiudere definitivamente i battenti, con conseguenze ancora più pesanti per l’economia di quanto finora accaduto.
Per le imprese che hanno subito i contraccolpi più negativi della crisi economica, ovvero quelle che hanno dovuto chiudere per decreto, i ristori erogati dall’Esecutivo hanno raggiunto un livello medio di copertura del calo del fatturato più elevato della media, pari al 14,5% circa. Le misure di sostegno al reddito approvate dal governo BisConte sono andate in larghissima parte alle attività che hanno registrato un crollo del giro di affari di almeno il 33% rispetto al 2019. Resta il fatto che anche per queste realtà gli aiuti economici sono stati insufficienti.
L’Ufficio studi della Cgia stima che dei quasi 423 miliardi di riduzione del fatturato registrata nel 2020 (pari ad una contrazione del -13,5% rispetto l’anno prima), almeno 200 miliardi sarebbero ascrivibili alle imprese dei settori che sono stati costretti a chiudere per decreto.
E’ evidente che è necessario un deciso cambio di rotta: i ristori vanno sostituiti con i rimborsi o indennizzi. In altre parole, è necessario uno stanziamento pubblico che compensi quasi totalmente sia i mancati incassi sia le spese correnti che le imprese e le professioni continuano a sostenere.
La stessa cosa va definita anche per i settori che, seppur formalmente in attività, è come se non lo fossero, come le imprese commerciali ed artigianali e le tante attività professionali ubicate nelle cosiddette città d’arte che hanno subito il tracollo delle presenze turistiche straniere e, in particolar modo, il trasporto pubblico locale non di linea (taxi, bus operator e autonoleggio con conducente) che hanno i mezzi fermi nelle rimesse o nei posteggi.
Alle critiche di chi dice che questa ulteriore spesa corrente contribuirebbe ad aumentare il debito pubblico, c’è l’ulteriore verità che se non si salvano le imprese e la loro capacità di generare posti di lavoro, non si pongono le basi per far ripartire la crescita economica che rimane l’unica possibilità in grado di ridurre nei prossimi anni la mole di debito pubblico che il Paese ha spaventosamente accumulato con questa crisi gestita in modo abborracciato, con tante, troppe risorse sprecate in mero assistenzialismo.
A livello di dettaglio, dei 29 miliardi erogati al sistema economico dal governo BisConte, la voce più consistente è determinata dai contributi a fondo perduto che ammonta a 11,3 miliardi di euro. Seguono altri interventi che assommano a 7,9 miliardi e la cancellazione del saldo 2019 e dell’acconto 2020 dell’Irap che ha consentito uno sgravio di 3,9 miliardi. Le agevolazioni fiscali per le sanificazioni e i canoni di locazione hanno permesso un risparmio pari a 5,1 miliardi, mentre la cancellazione dell’Imu e della Tosap/Cosap ha garantito una riduzione della tassazione locale pari a 802 milioni di euro.
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