Concessione A22, troppe nubi sul rinnovo

L’opinione del Coordinamento Cispadano NO autostrada – SI’ strada a scorrimento veloce. Di Silvano Tagliavini 

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concessione A22

Scrivo in merito all’articolo apparso sulle vostre pagine il 4 dicembre scorso sulla vicenda della Concessione A22/Autobrennero S.p.A. 

Concordo pienamente su quanto espresso a proposito delle mancanze del quadro politico sia nazionale che locale sul come affrontare prima e risolvere poi questa intricata vicenda dove si intrecciano interessi economici e politici e dove una ministra, ma anche il quadro politico nel suo insieme, decide di imperio, oltremodo in un contesto legislativo che nulla ha a che fare con la problematica, e crea le condizioni per cui “la pezza è peggio del buco”. 

Stiamo parlando, e ancora concordo, di una violazione non solo giuridica ed economica delle regole del “libero mercato” o di “impresa” come si preferisce ma del normale buon senso strategico per quanto riguarda logiche di investimento anche internazionale. Là dove si sente “puzza” di “statalismo”, come viene definito nell’articolo questa operazione, gli investitori, soprattutto internazionali, ne stanno alla larga a meno che … non si intravveda un profitto economico. 

Sin qui tutto bene, ma nel contesto dell’articolo qualcosa non torna, ad esempio: “il ritorno automatico nelle disponibilità del patrimonio pubblico allo scadere della concessione”. Siamo sicuri che se si fosse agito nel senso auspicato dall’articolo tutto e tutti avrebbero giudicato positivo l’agire? O si sarebbero alzate polemiche a non finire per “l’agire statalista” dello Stato? Magari con la “nobile” motivazione di “meno Stato e più mercato”? O ancora, con la scusa, non totalmente infondata, che i carrozzoni pubblici come ANAS/CAV non sono in grado di gestire con profitto un bene pubblico di tale consistenza? 

Per quanto riguarda poi il “non volere capire a Trento e a Roma” è facilmente comprensibile per quanto riguarda Trento e, aggiungerei, tutte le altre sedi politico/amministrative presenti sul percorso della A22: troppa “ciccia” a cui dovere rinunciare (vedi dividendi annuali). Per quanto riguarda poi Roma è solo questione di tornaconti politici (vedi determinante presenza in Parlamento dei referenti dei territori interessati). 

Ci sono poi i due argomenti su cui punta AISCAT: lo status di Autobrennero come soggetto di diritto privato e la questione del “fondo ferrovia”. Per quanto riguarda lo status di Autobrennero suggerirei ad AISCAT, e non solo, di leggere l’interessante sentenza del marzo 2020 della Corte dei Conti a fronte del ricorso, rigettato, di Autobrennero, AutoCS e ARC per essere state inserite da ISTAT nell’elenco delle aziende pubbliche. Con maggioranza pubblica, con la gestione di un bene pubblico e in regime di sostanziale monopolio, è legittimo considerale alla stregua di aziende pubbliche, dice la Corte dei Conti, anche se i loro utili non fanno parte del Bilancio dello Stato. 

Poi c’è la faccenda del “fondo ferrovia”. Qui si va ad una vera e propria rappresentazione palesemente inesatta. Il “fondo ferrovia” è stato istituito con Legge 27 dicembre 1997 n. 449 art. 55, comma 13. Le somme accantonate in questo fondo sono il risultato di un prelievo aggiuntivo (gettito extra profitto) rispetto alla tariffa di pedaggio della A22 dove Autobrennero ha svolto di fatto il ruolo di “sostituto di imposta” per conto dello Stato. Quindi non una parte di utili, oltretutto in regime di esenzione fiscale, da considerare come capitale societario. 

L’inghippo è da ricercare nella insipienza, o la furbizia, di chi ha redatto la Legge che prevedeva l’accantonamento delle somme incamerate in un deposito bancario sul quale però solo Autobrennero aveva la facoltà di intervenire. Da qui la messa in atto di un vero e proprio ricatto, di Autobrennero nei confronti dello Stato. Il risultato di questa insensata operazione? Che nel frattempo lo Stato, noi cittadini, ha dovuto anticipare una parte dei capitali necessari per la realizzazione del secondo tunnel ferroviario del Brennero attingendo dalle casse statali.

Per meglio comprendere tutto questo marasma politico-economico-finanziario sarebbe opportuno incominciare a porsi qualche domanda: 

1) nella sentenza del marzo 2020 la Corte dei Conti indica come maggiormente vantaggiosa, per le casse dello Stato, la gara pubblica. Perché non lo si è fatto? 

2) per liquidare i soci privati (16%) i soci pubblici da dove attingono i capitali necessari (una volta individuato l’indennizzo appropriato)? 

3) ammesso e non concesso che si arrivi ad una Autobrennero interamente pubblica e potendo usufruire della norma europea n. 13/2014, la rateizzazione (vedi Legge di Bilancio del 30/12/2020 art. 171 e 172) del versamento allo Stato del “fondo ferrovia” potrà, eventualmente, essere considerato “aiuto di Stato”? 

4) E’ lecito che una azienda pubblica che ha una concessione in regime di sostanziale monopolio, a proposito di “libertà di impresa” e di “libero mercato”, possa agire al di fuori della concessione assegnatagli (vedi Bretella autostradale Campogalliano Sassuolo e Cispadana autostradale? 

5) sarà lecito che Autobrennero pubblica, ma non solo lei, possa utilizzare la forma di autofinanziamento come il Project financing (strumento esclusivo per soggetti privati)? 

6) ed infine, indipendentemente a chi sarà assegnata la Concessione, sulla base di quale progetto industriale visto l’evolversi del sistema trasportistico da e per l’Europa e in quale sarà il ruolo dello Stato (vedi bozza Toninelli del dicembre 2018)? 

Ecco, discutere e rispondere su queste domande servirebbe a fare chiarezza anche ad uso di quei cittadini che faticano, comprensibilmente, a capire questo “acceso” dibattito sulla Concessione A22 e a tutto quello che ne consegue. 

*****

Gentile sig. Tagliavini, la sua risposta all’articolo pubblicato pone diverse domande di sicuro interesse, su cui attendiamo la risposta da parte dei soggetti deputati. Per quanto ci riguarda, vogliamo evidenziare come nella logica delle concessioni, la proprietà del bene concesso è sempre dello Stato che incarica in sua vece un soggetto terzo, il concessionario, a realizzare un determinato opera per il quale non dispone delle risorse finanziarie per realizzarla. 

Grazie alla concessione, il concessionario provvede a realizzare l’opera per contro dello Stato concedente, rientrando dei costi sostenuti tramite la gestione e l’incasso dei pedaggi per un congruo periodo di tempo, solitamente trent’anni. Scaduto il termine di concessione, l’opera avrebbe dovuto tornare nella piena disponibilità del concedente, il quale avrebbe anche potuto abbassare o azzerare del tutto i costi di utilizzo dell’opera da parte degli utenti, i quali pagano già fior di tasse (quali tasse di circolazione oggi tassa di possesso e tasse sui carburanti). Purtroppo così non è mai avvenuto e alla scadenza delle varie concessioni i politici di turno hanno trovato comodo rinnovare in capo ai gestori le concessioni in cambio di potenziamenti dell’opera stessa o per la realizzazione di opere di contorno. Peccato che uno Stato (e un’amministrazione efficiente) avrebbe potuto efficacemente realizzarle direttamente fruendo delle entrate dei pedaggi senza delegarlo al privato concessionario che, per i suoi servigi, ha incassato un utile più o meno ingente.

Ecco, in un contesto ideale, lo Stato avrebbe dovuto fare lo Stato, assicurando ai suoi cittadini servizi efficienti e moderni, ma così non è accaduto. Secondo noi è giunta l’ora di interrompere quest’andazzo e ridare centralità allo Stato (o alle sue articolazioni periferiche) per l’erogazione di servizi.

Certo, c’è il problema di rafforzare le strutture gestionali della realtà chiamata a gestire le infrastrutture, dopo che l’Anas è stato progressivamente depotenziato, ma questo lo si può fare assorbendo il personale tecnico in capo alle varie concessionarie.

A questo proposito, nel territorio del NordEst si può validamente utilizzare il veicolo della Cav, l’attuale concessionaria del Passante di Mestre, posseduto pariteticamente da Anas e regione Veneto per fare passare le concessioni scadute senza dovere fare gare europee. Ovviamente, con l’ingresso di nuove concessioni, l’assetto azionario di Cav dovrebbe essere rivisto con l’uscita o un forte ridimensionamento della regione Veneto, magari a favore degli enti locali attraversati dalle varie infrastrutture. Sarebbe anche l’occasione per evitare l’ennesimo spezzatino di competenze e di centri di potere, a favore di una maggiore chiarezza ed efficacia gestionale, capace di liberare risorse a favore degli utenti (in termini di calo dei pedaggi) e del territorio (realizzazione di nuove infrastrutture e migliore manutenzione di quelle esistenti).

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