Le regioni hanno raggiunto l’accordo per spostare la riapertura degli impianti sciistici dal 7 al 18 gennaio: la richiesta è stata inviata ai ministri Francesco Boccia (Regioni) e Roberto Speranza (Sanità) dal presidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini.
Soddisfatto per il risultato l’assessore al turismo del Trentino, Roberto Failoni: «una cosa deve essere chiara: il mondo della montagna invernale non si organizza in 24 ore e soprattutto i lavoratori e le aziende hanno diritto di avere delle risposte. Se poi vogliamo parlare di ristori ci auguriamo una risposta rapida sul cosiddetto “ristori 5”, ma anche sul fatturato dal mese di dicembre fino al giorno dell’eventuale apertura».
Ancora scettica sul risultato raggiunto Valeria Ghezzi, presidente dell’Associazione imprenditori funiviari (Anef): «bisogna rendersi conto che per noi ci sono in ballo 12 mesi, non 4. E poi la questione non è rinunciare allo sci, ma tutti i posti di lavoro che ci sono in ballo e di gente che non ha nessuna tutela. In questo modo mandiamo a picco la montagna».
Per Ghezzi si parla di circa 400 aziende funiviarie italiane, distribuite sia nei territori alpini, sia in quelli appenninici, sia nelle isole. Si tratta di oltre 1.500 impianti, con una forza lavoro stimata di circa 13.000 unità, tra fissi e stagionali, nel periodo di piena attività. A seguito dell’annuncio della possibile apertura degli impianti sciistici il 18 gennaio anziché il 7 – come richiesto al Governo della Conferenza delle Regioni – la presidente dell’Anef sottolinea come la situazione sia già ora di estrema difficoltà per il comparto. «Ormai se riusciremo ad aprire sarà per salvare un po’ di occupazione per le famiglie che non hanno niente e sarà per pagare qualche debito – dice Ghezzi -. Non sarà certamente per guadagnare, però è meglio così che aspettare ristori di cui non abbiamo avuto alcun riscontro. Noi come categoria non abbiamo avuto nulla a marzo e nulla fino ad oggi. I maestri di sci, forse, ad aprile avranno preso i 1.000 euro per le partite Iva. Secondo me quello che a Roma non è ancora chiaro – puntualizza Ghezzi – è che per noi questi quattro mesi di stagione invernale valgono 12. Se per caso arriviamo ad aprile poi se ne riparla nel 2021, perché il maestro di sci non ha più materia prima e noi nemmeno. E la stagione estiva, sul fatturato annuo del settore, rappresenta una cifra che sta tra il 5 ed il 10%. Il 90% del fatturato lo facciamo l’inverno, fino ad aprile».
Il deputato azzurro del Bellunese, Dario Bond, va sul concreto: «impianti sciistici e maestri di sci devono avere subito i risarcimenti necessari. Ne va della tenuta del sistema montagna». Bond, insieme alle colleghe Silvia Fregolent e Claudia Porchietto, ha incontrato i viceministri dell’Economia e delle finanze Laura Castelli e Antonio Misiani per sollecitare l’intervento del governo.
«Abbiamo fatto il punto sulla filiera della neve e del turismo invernale, gravemente colpito dalle chiusure imposte dal governo causa Covid-19. La riapertura degli impianti prevista per il 18 gennaio potrebbe essere una buona notizia, ma non basta, anche perché a oggi mancano le certezze su tempi e modalità – evidenzia Bond -. E poi la mancata apertura durante le festività provoca un danno economico enorme per gli impianti di risalita e per l’indotto, un mondo fatto di maestri di sci, negozi, alberghi, bar, ristoranti, piccoli artigiani. Soprattutto le località meno strutturate rischiano di chiudere definitivamente dopo questa mazzata. È per questo che chiediamo adeguati risarcimenti e indennizzi, insieme a un intervento puntuale a supporto delle professionalità che lavorano con la neve. Per la montagna il turismo invernale è ossigeno: senza, si muore».
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