Immatricolazioni auto: con il calo di dicembre (-14,95%) il 2020 torna agli Anni Settanta

L’anno bisesto chiude a -27,93%. Per il 2021 le attese non sono positive, perché manca un piano strutturale per il settore, ad iniziare dall’auto aziendale sempre penalizzata.

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Il mercato dell’auto 2020 torna agli Anni Settanta del secolo scorso, un balzo indietro di ben cinquant’anni, con una perdita di ben il 27,93% con solo 1.381.496 immatricolazioni auto grazie anche al deciso calo del mese di dicembre (-14,95%) che ha visto l’immatricolazione di 119.454 autovetture.

Questo risultato sarebbe stato decisamente peggiore se non vi fosse stata la fugace estensione degli incentivi alla rottamazione anche alle motorizzazioni termiche di bassa cilindrata per la seconda metà dell’anno, incentivi irrisori nel volume che sono bastati solo qualche settimana.

Le prospettive per il 2021 sono legate all’andamento della pandemia da Covid-19, che, al momento, non sembra lasciare spazio ad eccessivo ottimismo. Il 49% dei concessionari interpellati dal Centro Studi Promotor nell’inchiesta congiunturale mensile condotta negli ultimi giorni di dicembre, considerando anche i nuovi incentivi varati con la Legge di Bilancio validi per le motorizzazioni tradizionali solo per il primo semestre, si attende per il prossimo anno immatricolazioni auto sostanzialmente stazionarie sui livelli del 2020, mentre gli altri concessionari si dividono equamente tra ottimisti e pessimisti.

Con il calo del 2020, il fatturato delle immatricolazioni auto in Italia, secondo le stime del Centro Studi Promotor, ha subito una contrazione di 12,17 miliardi rispetto al 2019, mentre il gettito Iva è calato di 9,97 miliardi. Un’ulteriore conferma dell’importanza del comparto automotive per l’economia nazionale, importanza trascurata dal governo BisConte che continua ottusamente solo a supportare con larghezza di mezzi i veicoli elettrici e ibridi, ancora troppo cari e troppo poco funzionali, sia per il costo di gestione che per l’effettiva riduzione dell’impatto ambientale, che viene solo spostato dalla strada alla generazione dell’energia necessaria per la ricarica e per la costruzione della batteria.

Per Gian Primo Quagliano, presidente del Centro Studi Promotor, è evidente che «occorrerebbe affrontare la crisi con un nuovo approccio. Il permanere della pandemia impone infatti al settore dell’auto, come all’economia, di superare la logica degli interventi congiunturali volti a tamponare le falle per adottare provvedimenti di carattere strutturale volti a risolvere i problemi che già erano emersi con grande evidenza prima della pandemia e che la pandemia ha ulteriormente aggravato. Per quanto riguarda l’auto, la grande emergenza italiana prima della pandemia era avere il parco circolante più vecchio d’Europa con un forte impatto negativo, oltre che sull’ambiente, anche sulla sicurezza della circolazione».

Per Quagliano l’esempio da seguire è quello dell’edilizia: «in questo caso non ci sarebbe bisogno di coprire il 110% della spesa, come si fa con le ristrutturazioni immobiliari, ma basterebbe un piano di incentivi pluriennali costruito privilegiando le vetture a basso impatto ambientale, tenendo anche conto che l’apporto delle auto elettriche e a basso impatto nel rinnovo del parco circolante nel 2020 è stato modesto nonostante gli incentivi particolarmente generosi in vigore. Le immatricolazioni auto elettriche non hanno infatti superato il 2% del totale, mentre per le ibride plug-in (cioè con la spina per la ricarica della batteria) si sono attestate all’1,7% e queste quote non potranno incrementarsi significativamente nel giro di pochi anni. Il piano di riqualificazione del parco circolante italiano dovrebbe quindi prevedere incentivi strutturali e poliennali per l’acquisto con rottamazione anche di autovetture con alimentazioni tradizionali, ma con emissioni contenute. L’auto elettrica resta la priorità dell’Unione Europea, ma per ottenere questo obiettivo il settore dell’auto sta traendo e continuerà a trarre ancora per diversi anni le risorse necessarie dalle vendite di auto ad alimentazione tradizionale sempre più pulite, che, tra l’altro, sono le sole che possono assicurare in tempi ragionevoli un significativo rinnovo del parco circolante».

«Archiviamo il 2020 come l’anno più difficile del dopoguerra per il nostro settore – ha dichiarato il presidente di Anfia (la filiera italiana dell’automotive), Paolo Scudieri – ma guardiamo al 2021 con fiducia, grazie alle misure entrate in vigore con l’inizio del nuovo anno, su cui c’è stata intesa tra tutte le forze politiche, e che, oltre a sostenere la domanda, favoriranno la ripartenza della produzione industriale di autoveicoli e componenti a beneficio dell’intera filiera automotive».

Secondo Adolfo De Stefani Cosentino, presidente di Federauto (l’associazione dei concessionari), «i dati di dicembre mostrano la realtà del mercato auto in epoca Covid-19: senza incentivi la propensione agli acquisti si riduce drasticamente, mettendo in crisi una intera filiera, la filiera che più incide sulla crescita economica del Paese. L’Automotive italiano chiude il 2020 con tutti i numeri in rosso: mercato, fatturato, profitti sono tutti espressione di un anno disastroso che, purtroppo ricorderemo a lungo». 

Il presidente di Unrae (gli importatori di veicoli esteri), Michele Crisci, riconosce che «il Parlamento ha recepito, in larga parte, quanto da noi auspicato e riconosce l’importanza degli incentivi pubblici per l’acquisto di autovetture nuove in sostituzione di mezzi fortemente inquinanti. Si tratta di un investimento i cui benefici vanno a vantaggio dell’occupazione, dell’ambiente e di uno dei settori industriali che più contribuisce al PIL del Paese. Per noi è un passo avanti, dal quale bisogna partire per lavorare insieme ai decisori politici a una nuova stagione della mobilità. Inoltre, al fine di non perdere competitività con le concorrenti imprese europee, che godono di particolari agevolazioni fiscali, auspichiamo che in Italia possa finalmente essere rivisto il sistema di detraibilità e deducibilità per i veicoli aziendali». 

Un aspetto, quello della detraibilità e deducibilità delle auto aziendali condiviso da Quagliano: «quanto al regime di deducibilità parziale dell’Iva al 40% del costo sostenuto è dal 1979 che l’Italia chiede e ottiene da Bruxelles la deroga al regime ordinario della deducibilità del 100%, una cosa che è letteralmente scandalosa. Così come è scandaloso il regime di detraibilità dei costi d’acquisto, limitati al 20% di un tetto di poco più di 18.000 euro. E ora ci si aggiunge pure il giro di vite sull’auto concessa in fringe benefit ai dipendenti, con la quota di costo portata dall’attuale 30% al 50 e fino al 60%, con il risultato che torna ad essere decisamente più conveniente il rimborso chilometrico con tutto quel che ne consegue in termini di trasparenza della filiera, emersione del “nero” e del rinnovo del parco circolante in termini di emissioni e di sicurezza dei veicoli».

In questo settore, strategico per l’economia nazionale, il governo BisConte e la sua maggioranza continua a procedere con le ruote sgonfie, ormai ridotte ai soli cerchioni.

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