Nel 2020, secondo l’indagine condotta dal Centro studi Confindustria, il credito bancario alle imprese italiane ha registrato un balzo (+7,4% annuo a ottobre), spinto dai prestiti emergenziali con garanzie pubbliche, arrivati oggi a circa 146 miliardi di euro e, conseguentemente, del debito. Questo strumento è servito per arginare la crisi di liquidità subita dalle imprese, causata dal crollo dei fatturati dovuto al confinamento e alle altre misure restrittive imposte dalla pandemia.
Tuttavia, in molti settori sia dell’industria che dei servizi ciò ha accresciuto troppo il peso del debito, misurato in anni di liquidità generata dalle imprese. Nei servizi, in media, da 1,9 a 11,2 anni. Cash flow che si è bruscamente assottigliato nel 2020 e in alcuni casi è divenuto negativo (da 81 a -4 miliardi di euro nel totale del manifatturiero). Il semplice servizio del debito, nella situazione attuale, prosciuga le risorse interne disponibili.
Senza interventi di politiche mirate a rafforzare la situazione finanziaria delle imprese (in primis, un allungamento della durata del debito) e senza un solido recupero di fatturato e cash flow dal 2021, in quasi tutti i settori di industria e servizi l’eccesso di indebitamento mette a rischio il flusso di nuovi investimenti produttivi in Italia.
Entrando nel dettaglio dell’indagine del Centro studi Confindustria, nel 2020 il manifatturiero italiano ha subito un profondo calo di fatturato (stimato a -144 miliardi di euro, pari al -14,5%), a causa della pandemia e del conseguente confinamento. Tale calo delle vendite si riflette in una flessione, meno marcata, degli acquisti di beni e servizi e del costo del personale. Si stima perciò che il cash flow, definito come ricavi meno costi operativi correnti, nella manifattura sia caduto da 81 miliardi nel 2019 a -4 nel 2020.
Le stime del cash flow per settori (secondo la classificazione ATECO a 2 digit) dell’industria mostrano una situazione piuttosto diversificata nel 2020. Da un lato, alcuni settori non hanno sofferto un calo del flusso di risorse interne (alimentare, farmaceutico). All’altro estremo, molti settori si ritrovano ad avere un cash flow negativo, motivo della diffusa crisi di liquidità di quest’anno. Per alcuni di questi, che già nel 2019 avevano un flusso di risorse insufficiente, i valori negativi nel 2020 sono molto marcati (mezzi di trasporto, macchinari, metallurgia).
Nelle costruzioni il cash flow si dimezza, ma resta su valori positivi (da 24 a 12 miliardi). Anche nei servizi la riduzione del cash flow stimata è molto marcata: da 162 a 33 miliardi di euro. L’andamento nel 2020 è molto diversificato nei vari settori dei servizi. Sui 7 settori per i quali sono disponibili i dati disaggregati, 3 sono caduti in negativo quest’anno: il valore minimo si ha nelle attività di alloggio-ristorazione (-10,5 miliardi), legate al turismo, bloccato dalla pandemia; la caduta più profonda rispetto al 2019 è registrata nel commercio (da 48,3 a -9,4 miliardi).
Gli altri 4 settori dei servizi, invece, restano in positivo in termini di cash flow, sebbene con risorse interne molto assottigliate rispetto al 2019: nel trasporto-magazzinaggio si scende da 19,5 a 0,5 miliardi, nelle attività professionali-scientifiche da 31,8 a 22,3 miliardi.
Nella situazione pre-Covid-19, ovvero con il cash flow del 2019 e il debito bancario contratto fino ad allora, quest’ultimo poteva essere ripagato in modo ragionevolmente rapido dalle imprese dell’industria. Si trattava del riflesso del lungo percorso di rafforzamento dei bilanci realizzato in Italia nel decennio successivo alla crisi del 2007-08.
Nel totale del manifatturiero, lo stock del debito del 2019 poteva essere ripagato (ipotizzando, con un’astrazione teorica estrema, di destinare a ciò tutto il cash flow), con poco più di 2 anni di risorse generate dalle imprese. E l’onere per interessi su tale debito era pari a una quota contenuta delle risorse interne (4,4%).
Intorno a questi valori medi si avevano, da un lato, situazioni più “leggere”, come nel tessile-abbigliamento e nel chimico-farmaceutico (meno di 2 anni). Dall’altro lato, in alcuni settori industriali il peso del debito era già piuttosto elevato rispetto al flusso di risorse interne che riuscivano a generare, come nei mezzi di trasporto e, meno, nei prodotti elettronici. Ciò appariva, comunque, su valori normali, considerato il tipo di attività di tali settori, che necessitano di ingenti investimenti fissi e una costante attività di ricerca e innovazione.
La situazione debitoria nel 2019 era decisamente favorevole anche nei servizi, dove in media servivano poco meno di 2 anni di cash flow a ripagare il debito bancario. I due settori dell’alloggio-ristorazione e del commercio erano in linea con la media dei servizi.
Nelle costruzioni, invece, il peso del debito era di poco maggiore rispetto ai servizi prima dell’emergenza Covid (pari a 3 anni nel 2019) e l’onere per interessi era già pari a una quota significativa, ma non eccessiva, del cash flow (5,9%).
Nel 2020, dato il massiccio ricorso a prestiti bancari “emergenziali” (47 miliardi di euro nel manifatturiero) dovuto alla crisi e l’assottigliarsi del cash flow generato dall’industria, il peso del debito è cresciuto in misura marcata in molti settori rispetto al 2019. Parimenti, è cresciuto l’onere per interessi (a 4,2 miliardi di euro).
La situazione debitoria è peggiorata anche nell’alimentare e nel chimico-farmaceutico, rimanendo però meno pesante rispetto alla media. In questi due settori, infatti, il debito è aumentato ma è rimasto tutto sommato gestibile (3-4 anni di cash flow) perché, pur crescendo, si confronta con risorse interne che sono rimaste intorno o poco sotto ai valori dell’anno precedente.
Viceversa, all’altro estremo, nei settori industriali in cui il cash flow è diventato negativo, non è possibile (aritmeticamente) neanche calcolare quanti anni di risorse generate internamente servirebbero ad estinguere il debito. Se protratta nel tempo, una situazione del genere rischierebbe di rendere il debito insostenibile per le imprese.
Anche nei servizi l’indebitamento emergenziale è stato massiccio (57 miliardi di euro). Per vari settori dei servizi il debito è diventato insostenibile nel 2020 (commercio, alloggio-ristorazione, noleggio-servizi alle imprese). Per altri settori, la situazione è divenuta molto pesante (trasporto-magazzinaggio). Limitano i danni quest’anno solo pochi comparti dei servizi (informazione-comunicazione, attività professionali-scientifiche).
Nelle costruzioni il peso del debito, già elevato, è più che raddoppiato, balzando da 3 a quasi 7 anni di cash flow. Una situazione difficilmente gestibile a lungo, in assenza di un recupero di fatturato.
Per i settori dell’industria e dei servizi con debito divenuto insostenibile quest’anno (cioè quelli con un cash flow negativo o un peso del debito pari a molti anni), serve rapidamente un intervento di policy, per rafforzare la situazione finanziaria delle imprese ed evitare che la continuità aziendale sia messa a rischio.
Per quasi tutti i settori, con risorse interne così limitate o assenti, è difficile immaginare che si possano realizzare nuovi investimenti ai ritmi pre-crisi. Prima della pandemia, il flusso annuo di investimenti in beni materiali realizzati dalle imprese manifatturiere era pari a 35 miliardi di euro, cui si erano sommati 51 miliardi nei servizi e 5 miliardi nelle costruzioni (valori corrispondenti al 30-40% del cash flow; dati 2019). Nel 2020, con risorse interne estremamente assottigliate nei servizi e negative nell’industria, è divenuta proibitiva la realizzazione di investimenti produttivi su valori analoghi a questi.
Va sottolineato, peraltro, che se per un settore risulta che il “peso del debito” è inferiore a 6 anni di cash flow (valore corrispondente alla durata massima dei prestiti emergenziali contratti nel 2020; in media la durata di tali nuovi prestiti è effettivamente vicina ai 6 anni) questo non significa affatto che la situazione debitoria sia da considerarsi favorevole.
Il flusso di cash flow, infatti, nella realtà operativa non può essere impiegato, in un certo anno, esclusivamente per rimborsare lo stock di debito. Serve, invece, per varie altre attività dell’impresa, tra cui pagare gli interessi sullo stesso debito e, appunto, realizzare investimenti. Ovvero, se il cash flow fosse interamente assorbito dal rimborso del debito, l’impresa non avrebbe risorse disponibili per nuovi progetti, cioè per la crescita.
Quanto al 2021, il Centro studi Confindustria prevede che la situazione permanga tesa, pur se meno critica di quella del 2020 sul fronte del cash flow. Il fatturato industriale, infatti, dovrebbe registrare una risalita rispetto al valore medio del 2020, sebbene parziale a causa della seconda ondata di pandemia che ha fermato al momento il recupero dell’attività economica (l’ipotesi è che l’industria registri un +9,8% in media, dopo il -14,5% del 2020).
In tale scenario, ipotizzando inoltre una elasticità dei costi ai ricavi come nel 2020, il cash flow tornerebbe positivo nel totale della manifattura (42 miliardi) e in quasi tutti i settori.
Tuttavia, rispetto al 2019 l’indebitamento resterebbe molto più pesante nel 2021. Sia perché il debito è più alto (l’ipotesi prudente è che resti al livello del 2020), sia perché il cash flow è più basso.
Nella situazione post-Covid, quindi, occorrerebbero 5,4 anni di cash flow nel manifatturiero per ripagare il debito, più del doppio dei 2,2 anni del 2019. In tutti i settori la situazione sarebbe peggiore, con un forte aumento del numero di anni necessari a ripagare il debito.
L’onere per interessi si posizionerebbe in media al 10,0% del cash flow (pur nell’ipotesi molto prudente di un tasso stabile ai valori 2020), più del doppio rispetto al 4,4% pre-Covid. Gli interessi passivi supererebbero tale già elevata soglia nella metà dei settori, con punte oltre il 20%.
Anche nei servizi, nonostante la parziale risalita del fatturato attesa nel 2021 (l’ipotesi è +8,0%, dopo -13,2%), il peso del debito resterebbe notevole: quasi 4 anni, da meno di 2 anni nel pre-crisi.
Tale valore medio calcolato per i servizi non rende appieno la difficoltà della situazione debitoria in alcuni specifici comparti. In vari settori l’onere per interessi resterebbe molto elevato, intorno al 10% del cash flow (alloggio-ristorazione e immobiliare). In un settore sarebbe decisamente eccessivo (commercio). In altri settori, invece, la situazione diventerebbe più gestibile nel 2021.
Nelle costruzioni, infine, il peso del debito nel 2021 sarebbe in linea con quello medio dei servizi, ma con un peggioramento meno marcato dal 2019 rispetto a quello stimato per i servizi.
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