Nelle sale Apollinee del Teatro La Fenice di Venezia per la stagione di “Musikamera” si è esibito il gruppo “La Pifarescha”, invitato all’ultimo momento a sostituire il quartetto “Scherzi musicali”, indisponibile per motivi legati al Covid-19, che ha tenuto un interessante doppio concerto di musica antica, in prevalenza rinascimentale.
Ogni brano è stato presentato con competenza, a rotazione, dai singoli componenti dell’Ensemble, in modo tale che il pubblico abbia potuto godere di una musica piacevole e nello stesso tempo venire a conoscenza del contesto nel quale essa si inseriva originariamente ed ammirare strumenti che non si vedono spesso: tromba diritta e tromba da tirarsi (naturale), bombarda, trombone, flauti di varie dimensioni, viella, tamburi di varie tipologie (a cornice, a sonagli), suonati sia con le mani che con le bacchette, chitarra rinascimentale (soltanto per uno scatenato Salterello), cornetti e cornamuse per un applaudito bis.
E’ stato un piacere visivo ed acustico ascoltare un simile repertorio, che all’epoca forse voleva esorcizzare una drammatica esperienza di morte, così frequente durante il Rinascimento, a causa di guerre senza fine, che in ciclica alternanza con le paci, scandivano il trascorrere del tempo. Ma ci sono anche temi amorosi assieme a titoli guerreschi o legati alla vita cortigiana o di piazza o ai ritmi delle battaglie e delle danze.
Accanto a brani anonimi, per il concerto della stagione di “Musikamera” si sono ascoltate composizioni di autori conosciuti ed affermati come Josquin Desprez e Tielman Susato, del quali l’ensemble ha eseguito, rispettivamente, la Chanson “Mille regretz” e la Pavane, ugualmente intitolata “Mille regretz”. Davvero encomiabili, i componenti de “La Pifarescha”, un gruppo che unisce e alterna le sonorità ricche ed incisive dell’Alta Cappella, organico strumentale di fiati e percussioni, diffuso con il nome di Piffari, con quelle più morbide della Bassa Cappella, attraverso l’utilizzo di uno strumentario più ampio: Stefano Vezzani e Marco Ferrari ai flauti, bombarde e cornamuse; David Yacus e Marco Morini ai tromboni e alla tromba diritta e da tirarsi; Fabio Tricomi alla viella e alle percussioni, a sostenere ed indirizzare verso il giusto ritmo l’affiatato ensemble.
Ben altro il repertorio ascoltato in un’unica serata in Sala Grande, di nuovo riproposta nel suo aspetto precedente la pandemia. La violoncellista argentina Sol Gabetta e il pianista francese Bertrand Chamayou, in un prevedibile tutto esaurito, hanno proposto un programma che spaziava dal Romanticismo del XIX secolo alla modernità del Novecento. Il concerto di “Musikamera”, senza soluzione di continuità, si è aperto con “Drei Phantasiestucke op. 73”, tre pezzi fantastici di Robert Schumann, scritti in origine per clarinetto e pianoforte. Si tratta di un unico brano, diviso in tre sezioni contrastanti. La prima presenta un clima elegiaco e un lirismo nostalgico. La seconda è una sorta di scherzo che si svolge in un clima più agitato ed è caratterizzata da un dialogo animato tra gli strumenti, nel quale emerge il virtuosismo di Sol Gabetta, nell’esporre un complesso tema cantabile. La terza è una variazione conclusiva, viva e con fuoco (“Rasch, mit Feuer”, nell’indicazione dell’autore), in cui riecheggiano elementi dei due pezzi precedenti.
Il secondo brano, la “Sonata op. 65” di Benjamin Britten è il primo dei cinque pezzi dedicati a Mstislav Rostropovich, scritti nei dieci anni successivi all’incontro con il violoncellista, avvenuto a Londra nel 1960. E’ suddivisa in cinque movimenti: il Dialogo, allegro, assai dolente e tenero; lo Scherzo-pizzicato (Allegretto) uno studio in pizzicato, con un accompagnamento strappato del violoncello, tipico di certi episodi jazzistici; Elegia: lento, sofferto e malinconico, con una lunga melodia cantabile, cresce dinamicamente, per concludersi con dolcezza e tranquillità; Marcia (Energico): il violoncello ripete inizialmente un ostinato ritmico sulla corda più acuta e prosegue con un pizzicato velocissimo in un crescendo accelerato; Moto perpetuo (Poco presto): il tema spesso muta il suo carattere, da alto ed espressivo, a basso e brontolante, ad allegro e spensierato.
E’ in quattro movimenti la “Sonata in Sol minore op. 65” di Fryderyk Chopin. Frutto dell’amicizia con il violoncellista August-Joseph Franchomme, che si distinse per importanza nella vita parigina dell’epoca, la Sonata, composta nel 1845 – 1846, ebbe un’esecuzione parziale, senza il tempo iniziale (Allegro moderato), con Chopin al piano e Franchomme al violoncello, a Parigi il 16 febbraio 1848, per quello che si sarebbe rivelato come l’ultimo concerto in pubblico del compositore.
Ricco melodicamente ed armonicamente, l’Allegro moderato colpisce per un’atmosfera malinconica. Lo Scherzo: Allegro con brio si basa su un tema di grande energia. Il Largo è una pausa meditativa, contrassegnata da un dialogo enigmatico fra gli strumenti, mentre nel Finale. Allegro si ritorna all’intonazione drammatica e complessa del tempo iniziale.
Applausi calorosi inducono gli interpreti a concedere due bis dalla “Suite popular espanola” di Manuel de Falla. Convincente è apparso il dialogo fra due artisti affiatati anche per la loro frequentazione quasi ventennale, che li ha portati ad esibirsi in tutto il mondo.
Costretta ancora al silenzio, “Musikàmera” attende speranzosa di poter ricominciare a proporre il suo interessante cartellone, confortata dall’alto gradimento di un pubblico affezionato.
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