Anno 1994, un diciannovenne toscano partecipa al programma televisivo “La Ruota della Fortuna” su Canale 5 e vince 48 milioni di lire. Il suo nome è Matteo Renzi. Di questo toscano ambizioso, simpatico (almeno all’inizio) e intraprendente, sentiremo a parlare ancora a lungo, anche perché il personaggio non ama proprio vivere nell’ombra e starsene in disparte, non rappresenta proprio il suo stile di vita. È uno a cui piace vivere sotto i riflettori, uno che ha uno smisurato ego, che ama il potere e proprio non sopporta, anche in caso di sconfitta politica, di uscire di scena.
Ma riavvolgiamo il nastro.
Nato a Firenze nell’anno 1975, da ragazzo è scout nell’Agesci (Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani) e se fosse nato una ventina di anni prima sarebbe stato uno dei tanti democristiani che popolavano la politica italiana in quegli anni. Ma la DC, dopo il tornado di “Mani Pulite”, in pratica non esisteva più e il buon Matteo (Renzi), dopo un passaggio al Partito Popolare Italiano entra a far parte della Margherita, partito politico centrista il cui leader era Francesco Rutelli.
La sua carriera politica per il suo modo intraprendente di operare è velocissima. Diviene dapprima presidente della Provincia di Firenze nell’anno 2004 e poi nel 2009 addirittura sindaco di Firenze con una coalizione di centro-sinistra, battendo al ballottaggio Giovanni Galli, l’ex portiere della Fiorentina e campione del mondo nel 1982, molto amato dai fiorentini.
In giovane età, pertanto, riesce a conquistare la carica di sindaco di una città importante come Firenze e si pone all’attenzione della politica nazionale. Fa scalpore, in quegli anni, una sua visita nella villa privata di Arcore da Silvio Berlusconi allora presidente del Consiglio per parlare dei “problemi” della città di Firenze.
Dopo essere stato sconfitto da Pier Luigi Bersani alle primarie come candidato del centro sinistra alle elezioni politiche, nell’anno 2013 riesce a farsi eleggere segretario del PD. Renzi, ormai, diventa uno dei personaggi politici più importanti e con maggiore visibilità mediatica della Repubblica italiana anche grazie allo slogan della rottamazione della vecchia politica.
Dal trampolino della segreteria del PD realizza il capolavoro, secondo alcuni, o il tradimento, secondo altri, della politica renziana, con la complicità del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Corre l’anno 2014, e il giovane piddino Enrico Letta (nipote del più noto Gianni, dominus del Cavaliere Azzurro) è presidente del Consiglio, mentre Matteo Renzi è segretario del PD. Il governo in carica da pochi mesi non prende decisioni concrete, traccheggia, complice il fatto che Letta è una persona capace ma che manca del piglio decisionale. Renzi ormai segretario lavora sotta traccia (ricordate l’“Enrico, stai sereno”?) e con la complicità di Napolitano prepara la sua successione a Palazzo Chigi. Alla direzione nazionale Dem, Letta viene sfiduciato e l’indomani rassegna le dimissioni nelle mani di Napolitano che le accetta e immediatamente assegna a Renzi l’incarico di formare un nuovo governo. Renzi, senza nemmeno essere parlamentare, da sindaco, a soli 39 anni, diviene il più giovane presidente del Consiglio della Repubblica Italiana. Un doppio salto carpiato con avvitamento.
Nei quasi tre anni del suo governo, Renzi cerca da buon democristiano di recuperare voti al centro, innescando a sinistra alcuni mal di pancia. Inoltre, almeno all’apparenza, cerca di togliere quella patina di vecchiume che appartiene da sempre alla politica italiana proseguendo nella sua “rottamazione”. Lui è giovane, dinamico, sempre presente, molto mediatico, anche l’aspetto è studiato in ogni particolare, fa battute ironiche, ha un rapporto particolare con il presidente statunitense Barak Obama, risulta simpatico agli italiani che in lui rivedono l’italiano medio che alla fine se la cava sempre. Dal punto di vista politico compie il capolavoro del 40,8 % al PD nelle elezioni europee del 2014. Sembra inarrestabile, ma la politica non è un film e proprio questo suo essere vincente si traduce successivamente nella sua sconfitta.
Pensando di avere in mano l’Italia, Renzi vuole ancora di più e pensa di poter fare cambiamenti istituzionali, ad iniziare dalla Costituzione. Forza la mano, fa approvare una legge che in pratica assegna solo alla Camera il potere di legiferare. Ma nel referendum confermativo la proposta di Renzi viene stoppata a furor di popolo facendo saltare la promulgazione della legge.
In campagna elettorale Matteo Renzi aveva affermato più volte che in caso di sconfitta al referendum avrebbe lasciato la politica, ma l’unica cosa che fa dopo aver perso al referendum è rassegnare le dimissioni da presidente del Consiglio.
Nell’anno 2019, a fine estate, arriva lo sconcertante karakiri di un altro Matteo, il leghista Salvini, che innesca la crisi di governo Giallo/Verde perché lusingato dai sondaggi nella convinzione di andare a votare in pochi mesi. Ma ha fatto i conti senza l’oste Renzi che si inventa con Beppe Grillo il governo Giallo/Rosso. Ma Renzi rimane inquieto e, dopo pochi giorni dalla nascita del nuovo governo, il BisConte, lascia il PD attratto dai sondaggi che lo davano in doppia cifra, facendo nascere una nuova realtà politica denominata “Italia Viva”, portando con sé una trentina di deputati e una quindicina di senatori Dem.
Con “Italia Viva”, Renzi butta alle ortiche la “rottamazione”, cominciando a comportarsi come i vecchi partitini della Prima Repubblica che, avendo pochi parlamentari ma decisivi in un Parlamento spaccato a metà, giocano continuamente a fare l’elastico.
Ogni due o tre mesi, in nome di pretestuosi argomenti che diventano, secondo loro, questioni di principio, cercano visibilità mediatica. Invocando la democrazia, operano il classico ricatto minacciando di non votare il governo ed invocando la crisi in ogni occasione e cercando in realtà di ottenere sempre qualcosa in più. Senza mai in realtà voler rompere, perché “Italia Viva” nei sondaggi viene sempre accreditata sotto il 3%. Troppo poco per essere decisivi per gli equilibri nazionali.
Ultimo caso di tensione in questi giorni con il “Next Generation Eu”, gli ormai famosi 209 miliardi che arriveranno in Italia dall’Unione Europea. Renzi minaccia, dopo l’approvazione della legge di bilancio 2021, la caduta dell’esecutivo se non sarà ascoltato nella scelta di allocazione dei fondi europei.
Se cadesse l’esecutivo BisConte e si andasse alle elezioni anticipate come rivendica da sempre con lucidità la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, il partito di Renzi rischierebbe addirittura di scomparire dal panorama politico nazionale, specie ora che il numero dei parlamentari è stato falciato di un buon terzo.
Stante questo scenario, è molto probabile che Matteo Renzi farà di tutto perché si abbassi la soglia minima percentuale per entrare in Parlamento e sarà costretto a fare un accordo con altri piccoli partiti (da Azione di Calenda a +Europa di Bonino) per poter mantenere ancora una piccola rappresentanza di parlamentari.
Peccato che questa non sia una partita a poker e a forza di bluffare nessuno dà più credito a Renzi e colui il quale cinque anni fa aveva in mano l’Italia è ridotto a delle sceneggiate patetiche per avere un minimo di visibilità.
Allora, è proprio il caso di dire “Renzi, cosa stai combinando?” Ma stai sereno….
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