Ammontano ad 1.672.254 i professionisti iscritti nel 2019 alle Casse di previdenza private riunite nell’Adepp, numero in lieve discesa (dello 0,30%) rispetto all’anno precedente, ma in salita del 27,82% al confronto con il 2005.
I numeri del comparto sono contenuti nel X rapporto dell’Adepp illustrato dal presidente Alberto Oliveti. La classe d’età più numerosa è quella compresa tra i 40 ed i 50 anni, seguita da quella tra i 50 ed i 60 anni e più del 50% degli associati Adepp ha tra i 40 e i 60 anni. Rilevante è il fenomeno della “silver economy” tra i lavoratori autonomi: tra il 2005 ed il 2019 il numero di pensionati attivi è più che raddoppiato (dal 10% al 19%), mentre il numero degli “under 40” è diminuito dal 41% del 2005 all’attuale 28,1%. Nel complesso, le donne che figurano negli elenchi delle Casse previdenziali rappresentano, al 2019, il 40% del totale».
Nel 2019 la media reddituale dei professionisti iscritti all’Adepp è stata pari a 35.541 euro (-0,1% rispetto all’anno precedente). La decrescita è iniziata nel 2010 e ha «pesantemente inciso sul sistema professionale italiano. Basti pensare a come tale diminuzione abbia fatto decrescere il reddito medio, tra il 2010 e il 2016, di circa il 12%, mentre la variazione è tornata positiva nel 2017 e nel 2018 portando a crescere, per entrambi gli anni, il reddito del 3%».
Oliveti sottolinea «la necessità di investire con politiche che sostengano il lavoro e i redditi dei professionisti. La previdenza infatti comincia dal lavoro. Se non si rafforzano i redditi, i giovani e le donne, specie al Sud, rischiano di non potersi costruire pensioni adeguate».
Se si comprendono gli effetti dell’inflazione sui guadagni degli esponenti delle varie categorie, si nota che «sono scesi, in termini reali, del 14,5% dal 2005», con le giovani generazioni particolarmente penalizzate, visto che gli “under 40” incassano solo un terzo dei loro colleghi “over 50”.
I professionisti nel Mezzogiorno dichiarano un reddito del 50% inferiore ai colleghi del Nord mentre i professionisti del Centro Italia dichiarano il 20% in meno: un professionista uomo del Trentino Alto Adige guadagna in media 62.000 euro all’anno a fronte di un collega della Calabria poco più di 13.000 euro annui. Lordi, ovviamente. Differenze anche a livello di sesso: le professioniste dichiarano il 45% in meno dei loro colleghi uomini e la media dei redditi tra le donne è di circa 24.000 euro. Un divario che aumenta con l’aumentare dell’età e a seconda della zona del Paese dove la donna lavora.
Dal punto di vista sociale, le donne diventano professioniste prima degli uomini (32 anni contro i 35 dei colleghi) e tra gli “under 40”, le professioniste rappresentano il 53%. Ma la tendenza alla femminilizzazione si ferma con il passare degli anni: le donne tra i 50 e 60 anni rappresentano solo il 33% degli iscritti e le proporzioni diminuiscono ulteriormente con l’aumentare dell’età. Un dato dovuto al fatto che le donne scelgono la libera professione solo da pochi anni e alcune l’abbandonano perché non conciliabile con gli impegni familiari (figli, genitori anziani, ecc).
Il presidente dell’Adepp Oliveti ha rilanciato una rivendicazione di tutti gli enti previdenziali privati e i propri iscritti che subiscono una duplice tassazione sostanziale dei rendimenti: una prima volta nella fase della maturazione e una seconda nella fase dell’erogazione delle prestazioni. Una duplicazione che non riflette lo standard continentale e penalizza professionisti italiani.
«In un mercato unico europeo, i professionisti italiani – spiega Oliveti – sono costretti a maggiori accantonamenti previdenziali a causa dell’elevata tassazione a cui sono sottoposti i loro enti. I professionisti sono dunque costretti a scaricare gli extra-costi sui clienti finali. Questo meccanismo indebolisce la capacità di competere dei professionisti italiani nello scenario europeo, rendendo le loro prestazioni professionali meno attrattive». Non solo: a questo si aggiungono anche tante penalizzazioni fiscali sulla completa deducibilità dei costi aziendali sostenuti, ad iniziare da quelli della mobilità, sempre più importanti in una società che punta al terziario e ai servizi.
Oltretutto, sottolinea l’Adepp, la tassazione è più elevata anche rispetto ad altri soggetti italiani. La normativa vigente prevede che i rendimenti del patrimonio degli enti previdenziali privati siano assoggettati a una aliquota di tassazione del 26% a differenza dei Fondi pensione per i quali l’aliquota standard è del 20%. Non solo. Per quanto riguarda i rendimenti mobiliari derivanti da dividendi e commissioni retrocesse e i rendimenti del patrimonio immobiliare sotto forma di canoni di locazione, gli enti previdenziali vengono assoggettati all’imposta sui redditi delle società (Ires). Va infine ricordato, conclude l’Adepp, «che le Casse di previdenza non possono detrarre l’Iva sui loro costi, a differenza delle imprese che si occupano di investimenti. Di fatto, gli Enti di previdenza per perseguire le proprie strategie prudenziali di investimento competono nel mercato aperto con gli investitori legittimamente speculativi, con il paradosso di dover subire maggiori oneri rispetto a questi ultimi».
Nel corso del 2019 sono stati 7 i miliardi erogati in prestazioni di welfare dalle Casse previdenziali private a beneficio dei professionisti iscritti, che sono circa 1,7 milioni e «oltre un miliardo è stato anticipato dagli Enti per pagare il reddito di ultima istanza al 47% dei propri iscritti» ha detto Oliveti. L’elemosina di Stato da 600/1.000 euro introdotti dal decreto “Cura Italia” sono stati richiesti da 513.882 professionisti associati».
Intervenuta alla presentazione del Rapporto Adepp, il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha informato che «con la legge di Bilancio 2021 sarà istituito presso il ministero del Lavoro un fondo che avrà una dotazione cospicua, circa 1 miliardo di euro nel 2021. Questo fondo permetterà di esonerare in tutto o in parte dal pagamento dei contributi previdenziali i lavoratori autonomi e i professionisti, ordinisti e non, che a causa della pandemia hanno avuto nel corso del 2020 un importante calo di fatturato rispetto all’anno scorso e un reddito dichiarato non superiore a 50.000 euro».
Catalfo ha poi ribadito che «prosegue il lavoro volto alla riforma degli ammortizzatori sociali che, così come già previsto dalla bozza elaborata dalla commissione di esperti che ho nominato, dovrà riguardare anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, prevedendo per loro un meccanismo di sostegno al reddito. In questi giorni, in Parlamento è stata presentata una proposta che fa un primo passo in questa direzione ma che, a mio avviso, andrebbe estesa anche ai tanti professionisti iscritti agli ordini professionali».
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