Peste suina, in attesa del vaccino cresce l’allarme tra gli allevatori di maiali

In Germania la diffusione è grave. In Emilia Romagna il governo autorizza la caccia ai cinghiali per arginare possibili veicolazioni della malattia. Dreosto: «bene l’impiego dei cacciatori per gestire la fauna selvatica».

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peste suina africana

La peste suina africana (Psa) preoccupa il comparto suinicolo italiano, soprattutto dopo lo scoppio di focolai in due regioni della Germania, Sassonia e Brandeburgo. La malattia non contagia l’uomo, ma è letale per i suini che, senza cure adeguate, possono solo essere abbattuti.

Francesco Feliziani, responsabile di laboratorio del centro di referenza per la peste suina presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Umbria e delle Marche (Izsum) ha parlato di una corsa contro il tempo nella ricerca di un vaccino, che vede impegnato il mondo scientifico internazionale. A iniziare dall’Europa, dall’ottobre dello scorso anno impegnata in un progetto quadriennale per il quale la Commissione ha stanziato 10 milioni di Euro, che oltre all’Izsum coinvolge altri 19 partner, concentrati sullo studio di 3 vaccini di cui 1, in particolare, in fase sperimentale.

José Manuel Vizcaino, docente presso la facoltà di medicina veterinaria all’Università di Madrid e direttore del laboratorio di riferimento per la peste suina africana presso l’Organizzazione mondiale della sanità animale (Oie), ha affermato che «a livello mondiale la peste suina africana ha colpito quattro continenti per un totale di 50 paesi e attualmente il 78% della popolazione suinicola mondiale ne è minacciata. Tutti i più importanti centri di ricerca scientifici internazionali stanno lavorando alla realizzazione di un vaccino, ma allo stato attuale è molto difficile pensare che se ne potrà individuare uno globale soprattutto a causa dell’estrema variabilità del virus. L’obiettivo è naturalmente quello di poter arrivare a produrne uno efficace e sicuro a cui unire una strategia di vaccinazione adeguata ai vari scenari epidemiologici, includendo la fauna selvatica potenzialmente contagiata».

Attualmente si prevede che la diffusione della Psa avanzerà ancora in Europa e in Asia, ma si teme possa arrivare anche in America, fino a oggi risparmiata. Dopo gli effetti dell’epidemia che nel 2018 ha colpito la Cina, dove la peste suina africana ha causato l’abbattimento di oltre 220 milioni di suini, gli analisti ritengono che per recuperare i numeri produttivi antecedenti l’epidemia, il paese del Dragone avrà bisogno di almeno 5/6 anni, mentre la produzione in Europa e negli Stati Uniti non dovrebbe registrare aumenti particolarmente significativi. 

«Nell’attesa di poter arrivare in tempi ragionevoli a disporre di un vaccino per gli animali, le uniche armi che abbiamo a disposizione per difendere i nostri allevamenti dalla Psa sono rappresentati dall’adozione delle massime misure di biosicurezza, ma soprattutto – sottolinea Vizcaino – dall’attenzione ai mezzi di trasporto che provenendo dall’estero trasportano animali vivi e dal contenimento dei cinghiali che devono essere tenuti il più possibile lontano dalle porcilaie».

In quest’ottica, va segnalata l’autorizzazione da parte della Prefettura di Bologna allo spostamento dei cacciatori dal territorio di un comune a un altro, anche se appartenenti a regioni diverse, per la prosecuzione dei piani di contenimento dei cinghiali, che causano gravi danni alle produzioni agricole, oltre a rappresentare una seria minaccia alla circolazione stradale e, soprattutto in questo momento, un possibile veicolo di diffusione della peste suina africana. 

Per l’eurodeputato friulano della Lega, Marco Dreosto, «è necessario innalzare la guardia verso le popolazioni di cinghiale selvatico, possibile vettore della malattia anche presso gli allevamenti di suini. In Germania il settore rischia il tracollo, mentre Cina, Giappone e Corea del Sud, da una decina di giorni, hanno già bloccato le importazioni di carne tedesca. Se il blocco delle importazioni dovesse estendersi all’interno dell’UE, sarebbe un duro colpo per le aziende italiane che acquistano materia prima d’oltralpe, per non parlare della denegatissima ipotesi che la malattia venga rilevata in un qualsiasi allevamento nazionale: ciò provocherebbe l’immediata paralisi del settore».

Intanto, l’unica difesa sul fronte di una patologia che non ha al momento una cura, resta quella della prevenzione. Secondo Dreosto «i cacciatori andranno a ricoprire un ruolo chiave per il controllo delle popolazioni di cinghiale, abbassandone la densità di popolazione e, quindi, il rischio dei contagi, ma devono essere messi nelle condizioni di poter operare, soprattutto dal punto di vista legislativo. Se il Governo c’è batta un colpo, il tempo corre e la PSA è alle porte».

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