Per fronteggiare la crisi sanitaria ed economica dovuta al Covid-19, dalla primavera scorsa il governo tedesco ha erogato 284 miliardi di euro di aiuti economici a sostegno, in particolar modo, di lavoratori, imprese, scuola, trasporti e sanità: ben 194 in più di quelli stanziati per gli stessi ambiti dal governo BisConte. Includendo anche le misure introdotte questa settimana con il decreto “Ristori”, dall’inizio della pandemia il governo BisConte ha corrisposto quasi 90 miliardi di euro. Altrettanto significativo è stato lo sforzo sostenuto dal Regno Unito, che è intervenuto con 201 miliardi, mentre la Francia con 110 e la Spagna con 46 miliardi hanno fatto, come l’Italia, molto meno sia di Londra che di Berlino.
«Se teniamo conto anche degli aiuti economici messi a punto nei giorni scorsi dal governo francese, tra i nostri principali competitor economici presi in esame in questa comparazione – sottolinea il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – solo la Spagna ha speso meno del nostro Paese. Anche in rapporto al Pil, rimaniamo penultimi, sebbene nella prima ondata di questa pandemia siamo stati il Paese più colpito d’Europa. È vero che avendo un debito pubblico molto elevato queste misure possiamo finanziarle solo in deficit, ma è altrettanto vero che siamo la seconda manifattura d’Europa ed essendo uno dei pilastri portanti dell’economia europea meritavamo, da parte del nostro esecutivo, molte più attenzioni, soprattutto in termini di investimenti».
Oltre ai ristori, in Italia bisogna compensare anche i costi fissi
Sul fronte degli aiuti economici a sostegno delle attività costrette a chiudere completamente o parzialmente, la Cgia sottolinea che lo stato, le regioni e i comuni hanno il diritto/dovere di predisporre tutte le limitazioni che ritengono utili per tutelare la salute pubblica. È tuttavia evidente che a fronte della chiusura delle attività economiche, queste ultime devono essere aiutate economicamente, così come è stato fatto nella prima fase di questa pandemia.
La situazione odierna è ben diversa da quella vissuta nella primavera scorsa. Se allora tutte le imprese erano state costrette alla chiusura ed erano rimaste aperte solo quelle essenziali, oggi tutte le attività sono aperte e sono state oggetto di restrizioni solo alcuni settori. A questi ultimi, pertanto, non sono più sufficienti dei semplici ristori, ma è necessario uno stanziamento che compensi totalmente sia i mancati incassi sia le spese correnti che continuano a sostenere.
Dal 13 ottobre scorso, l’Unione Europea ha modificato il “Temporary Framework” (quadro temporaneo per le misure degli aiuti di Stato alle imprese) prorogandone gli effetti fino al 30 giugno 2021. Inoltre, gli stati membri potranno erogare aiuti economici fino al 90% dei costi fissi sostenuti dalle imprese che, per effetto del Covid-19, abbiano subito una contrazione del fatturato di almeno il 30%. Tra questi costi sono inclusi gli affitti, le bollette energetiche, le spese assicurative, etc. Pertanto, i ristori, in base alla caduta del fatturato, non sono più sufficienti: il governo BisConte deve compensare – così come ha continuato a fare la Germania nei giorni scorsi dopo aver introdotto un nuovo mini-confinamento – anche i costi fissi sostenuti dalle imprese interessate per decreto alla chiusura.
Aiuti alle Pmi: come si sono comportati i singoli paesi
In Germania, con riferimento alle misure erogate alle aziende, spiccano i 100 miliardi di euro destinati all’acquisto di partecipazioni di società colpite dalla crisi e i 18 miliardi di euro destinati alle ditte individuali e alle microimprese. Significativi sono stati anche i 25 miliardi che sono stati spesi per “riavviare” le aziende che hanno subito un calo dei ricavi di oltre il 60% rispetto al 2019. Queste realtà produttive hanno ricevuto una compensazione fino al 70% dei costi fissi sostenuti.
Nel Regno Unito, sempre in riferimento alle misure a sostegno delle imprese, si segnalano i 15 miliardi di sterline (17 miliardi di euro al tasso di cambio medio 2019) di sovvenzioni erogate alle piccole imprese e altri 15 miliardi di sterline per il sostegno al reddito dei lavoratori autonomi.
In Francia sono stati stanziati 8 miliardi di euro di sussidi per le piccole imprese con un fatturato inferiore a 1 milione di euro che hanno perso almeno il 50% dei ricavi nello scorso mese di marzo; 3 miliardi di euro per l’annullamento di tasse e contributi previdenziali per aziende e lavoratori autonomi in difficoltà; una stima di 9,3 miliardi di euro per sostenere l’industria del turismo e altri 8 miliardi di euro per sostenere il settore automobilistico.
In Italia, infine, le principali misure introdotte per le imprese hanno riguardato i contributi a fondo perduto a favore dei soggetti che hanno subito riduzioni del fatturato (7,3 miliardi di euro con i provvedimenti iniziali), la cancellazione dell’IRAP (saldo 2019 e prima rata acconto 2020 per un totale di quasi 4 miliardi di euro), i provvedimenti di rilancio del turismo/cultura (1 miliardo di euro); agevolazioni fiscali per sanificazioni/canoni-locazioni immobili strumentali per 1,7 miliardi di euro e altri 1,7 miliardi di euro previsti per il “tax credit” vacanze. A queste principali misure segnaliamo anche le misere indennità una tantum erogate ai lavoratori autonomi e le ultime risorse previste dal decreto “Ristori”.
È di tutta evidenza il diverso trattamento riservato tra i vari stati all’economia reale, con Germania, Gran Bretagna e Francia intervenute pesantemente a sostegno dell’economia produttiva, mentre in Italia si è puntato più sull’estensione della cassa integrazione e sui redditi di cittadinanza, lasciando pressoché scoperti, sia in primavera scorsa che ora con il ritorno della pandemia, delle piccole partite Iva e del variegato mondo delle professioni. Serve un deciso e drastico ripensamento degli interventi decisi dal decreto “Ristori”, prevedendo l’allargamento delle coperture e delle categorie interessate, applicando anche un criterio di solidarietà attiva trasversale tra chi è garantito dalla sicurezza del posto di lavoro e dello stipendio pieno (anche se lavorano a ritmo ridotto, come il mondo del pubblico impiego) o del posto di lavoro e della cassa integrazione e chi non ha né l’uno né l’altro, essendo un lavoratore autonomo impossibilitato a lavorare direttamente o indirettamente causa decreto abbandonato a sé stesso.
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