Irpef, un conto da 171 miliardi che grava sulle spalle di pochi

Presentato l'Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate Itinerari Previdenziali dedicato all'analisi delle dichiarazioni dei redditi ai fini IRPEF e delle imposte dirette: un conto da 171 miliardi che grava sempre più insistentemente sulle spalle di un numero ristretto di cittadini. Di Mara Guarino, Itinerari Previdenziali

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Aumentano sia i contribuenti che presentano la dichiarazione sia i versanti, crescono i redditi dichiarati e il gettito IRPEF complessivo, eppure resta sostanzialmente invariata – salvo piccoli spostamenti – la percentuale di contribuenti su cui grava il carico fiscale. Al netto del bonus, il 13,07% dei contribuenti con redditi da 35.000 euro in su versa circa il 58,95% di tutta l’IRPEF: l’ultimo Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate, curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e sostenuto da CIDAConfederazione Italiana Dirigenti e Alte Professionalità, conferma la fotografia di un Paese in cui il peso del fisco è sempre più insistentemente sulle spalle di un numero ristretto di cittadini. 

Giunta alla sua settima edizione, l’indagine realizza su base annuale un’analisi delle dichiarazioni individuali dei redditi IRPEF, di quelle aziendali relative all’IRAP e delle imposte dirette: l’obiettivo, oltre a ottenere una serie di indicatori utili a comprendere l’effettiva situazione socio-economica del Paese, di verificare la sostenibilità di medio-lungo periodo del sistema di protezione sociale italiano che, per pensioni, sanità e assistenza, è costato nel 2018 462,114 miliardi di euro, pari al 54,14% della spesa pubblica totale e con un aumento strutturale della sola spesa per assistenza di circa 33 miliardi (106 miliardi nel 2018, erano 73 nel 2008). Il che significa che, per finanziare il sistema di welfare italiano, occorrono, oltre ai contributi sociali quando previsti, anche tutte le imposte dirette – prioritariamente IRPEF, IRES e IRAP – e un’ulteriore quota di ISOST, lasciando le sole imposte indirette da destinare allo sviluppo del Paese.

Le cifre: redditi dichiarati e tipologie di contribuenti

Mentre il totale dei redditi 2018 dichiarati ai fini IRPEF tramite i modelli 770, Unico e 730 è ammontato a 879,957 miliardi di euro, con un incremento del 4,98% rispetto agli 838,226 miliardi del 2017, il gettito IRPEF generato è stato di 171,63 miliardi, sempre in aumento rispetto ai 164 dell’anno precedente. Di questi circa 172 miliardi, nel dettaglio, 154,35 (pari all’89,93% del totale) sono da imputare all’IRPEF ordinaria, 12,31 all’addizionale regionale (pari al 7,17% del totale e sostanzialmente stabili rispetto al 2017) e 4,963 (il 2,89% del totale) all’addizionale comunale, anch’essa in linea con lo scorso anno). 

Su 60.359.546 cittadini residenti in Italia a fine 2018, i contribuenti dichiaranti sono stati 41.372.851, in crescita di 161.515 unità; per contro, i versanti, cioè i contribuenti che versano almeno 1 euro di IRPEF, sono stati 31.155.444, 482.578 in più rispetto al 2017, ma ancora ben 434.622 in meno rispetto al massimo registrato nel 2011.

Nel dettaglio, sempre con riferimento al 2018, i contribuenti delle prime due fasce di reddito (fino a 7.500 euro e da 7.500 a 15.000 euro) sono 18.156.997, pari al 43,89% del totale, e versano solo il 2,42% di tutta l’IRPEF; a loro corrispondono 26,490 milioni di abitanti i quali, considerando anche le detrazioni, pagano in media circa 156,7 euro l’anno. 

Tra i 15.000 e i 20.000 euro di reddito lordo dichiarato, l’Osservatorio individua invece 5,724 milioni di contribuenti, i quali pagano un’imposta media annua di 1.966 euro, che si riduce a 1.348 euro per singolo abitante: per avere un ordine di idee, un’imposta comunque insufficiente anche solo a coprire il costo pro capite della spesa sanitaria (circa 1.886,51 euro). Tra i 20.000 e i 35.000 euro si collocano invece 11.892.615 contribuenti versanti (12,083 milioni i dichiaranti), che pagano una media di 4.555 euro l’anno – 3.122 euro facendo il conto per singolo abitante – e, complessivamente, il 32,07% delle imposte.

Esaminando le dichiarazioni a partire dagli scaglioni di reddito più elevato, sopra i 300.000 euro si trova solo lo 0,10% dei contribuenti versanti: 40.880 soggetti, che corrispondono il 6,05% dell’IRPEF complessiva; tra 200.000 e 300.000 euro si colloca invece lo 0,14% dei contribuenti che versa il 3,06% di tutta I’IRPEF. Con redditi lordi sopra i 100.000 euro c’è l’1,22%, dei contribuenti, che tuttavia pagano il 19,80% dell’IRPEF.

Sommando loro anche i titolari di redditi lordi da 55.000 a 100.000 euro, si ottiene che il 4,63% dei contribuenti paga il 37,57% dell’imposta totale e, considerando infine i redditi dai 35.000 ai 55.000 euro lordi, risulta che il 13,07% versa il 58,95% di tutta l’IRPEF. Sintetizzando e tenendo appunto conto anche dei redditi tra i 20.000 e i 35.000 euro, che tuttavia corrispondono imposte non sempre sufficienti a “(ri)pagarsi” tutti i servizi, si arriva a una perfetta sintesi del sistema: il 42% paga circa il 91% di tutta l’IRPEF, mentre il restante 58% ne versa solo il 9%. 

La redistribuzione della ricchezza in Italia

«La prima osservazione da fare – ha commentato nel corso del convegno di presentazione Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche – riguarda il rapporto dichiaranti/abitanti (1,459): in buona sostanza, per andare in pari servono almeno due contribuenti che paghino le imposte anche per un altro cittadino, il quale risulta sostanzialmente a loro carico. Verrebbe da dire il ritratto di un Paese povero e non certo appartenente al G7, se non fosse che i dati sul possesso di beni e consumi spingano a fare ben altre ipotesi, tra cui quella di un’evasione e un’elusione fiscale mai contrastata efficacemente in Italia».

Dati che, oltretutto, come puntualizzato dal prof. Brambilla, si discostano fortemente dalla narrazione imperante che vuole (tutti) gli italiani tartassati dal fisco e penalizzati delle eccessive imposte: «prima di lanciarsi in proposte di riduzione del carico fiscale a favore dei redditi più bassi o di parlare di redistribuzione per mitigare le disuguaglianze, spesso con finalità quasi squisitamente propagandistiche, bisognerebbe quantomeno verificare chi sono i cittadini contribuenti che versano imposte e quantificare la misura dei servizi poi ottenuti dallo Stato, in primis l’assistenza sanitaria. Ad esempio, per garantire i servizi sanitari al già citato 58% degli italiani, occorrono 50,325 miliardi che sono a carico soprattutto del 13,08% della popolazione con redditi da 35.000 euro in su. Osservazioni identiche si possono fare per assistenza o istruzione: anzi, considerando tutte e tre queste funzioni, la redistribuzione totale è pari a 174,28 miliardi su circa 580 miliardi di entrate, al netto dei contributi sociali; in pratica, viene redistribuito il 71% di tutte le imposte dirette. Se poi si considera che anche le restanti imposte dirette (IRES, IRAP e ISOST) sono prevalentemente a carico di poco più del 13% di contribuenti e che le imposte indirette sono proporzionate ai redditi dichiarati, la percentuale di redistribuzione aumenta ancora».

Il commento di CIDA 

«L’analisi sulle dichiarazioni dei redditi di Itinerari Previdenziali non solo fotografa un fisco iniquo, incapace di scovare chi evade ed elude le tasse, e pervicace verso chi dichiara i propri redditi, ma ne denuncia anche i limiti di fondo: l’entità delle entrate non sembra più in grado di sostenere un moderno welfare; l’eccessiva progressività degli scaglioni finisce con il deprimere la voglia di intraprendere – ha detto Mario Mantovani, presidente di CIDA -. Ecco perché quando si parla di riforma fiscale, da realizzare non certo con i soldi dell’Europa, il governo deve dare segnali concreti sul fronte della riduzione della spesa, del recupero dell’evasione e sgomberare il campo da ipotesi di ulteriori interventi sui redditi da lavoro, se non per alleggerirne il prelievo fiscale. Per CIDA occorre intervenire a monte, ricreando le condizioni socio-economiche per lo sviluppo di un ceto produttivo capace di innescare una vera e strutturale crescita dell’economia, senza la quale i redditi resteranno fermi o, addirittura, scenderanno. Va spezzata la spirale per cui ogni anno, in sede di Legge di Bilancio, si ripresenta il problema del recupero delle risorse necessarie a finanziare una spesa pubblica difficilmente sostenibile, a fronte di una pressione fiscale elevata e soprattutto concentrata su pochi cittadini, con il rischio di compromettere la tenuta complessiva del welfare state».

Le proposte per un fisco più equo

E’ indubbio che l’effetto del combinato disposto di imposte dirette e indirette renda forse eccessiva l’imposizione fiscale in Italia, ma lo è altrettanto che servono soluzioni calate sulla concreta realtà del Paese, superando il fin troppo riduttivo dualismo tra “ricchi” e “poveri”. 

«Una delle principali criticità su cui occorre intervenire – ha aggiunto Brambilla – è un sistema che premia e incentiva chi dichiara il meno possibile. Meno contributi si pagano e maggiori sono le prestazioni incassate, tanto che a disposizione del 58% degli italiani con redditi sotto i 15.000 euro c’è un’autentica giungla di agevolazioni, bonus e altre forme di sostegno al reddito, in aumento dopo la pandemia e spesso concesse a piè di lista, senza cioè verificare, in assenza di una banca dati centralizzata dell’assistenza e in balia di un ISEE facilmente raggirabile, che ce ne sia un effettivo bisogno».

Nel frattempo, latitano però, quelle detrazionibuone” che potrebbero favorire l’emersione del “grigio” e del “nerocome, ad esempio, il contrasto di interessi tra fornitori diretti di beni e servizi e i 25 milioni di famiglie italiane che ne fanno richiesta.

«Purtroppo, da diversi anni, anche nel lodevole intento di proteggere i gruppi che hanno redditi più bassi, i ceti medi sono stati fortemente penalizzati – ha concluso il presidente di CIDA Mantovani – con troppe norme incoerenti che hanno peraltro creato distorsioni nella tassazione dei redditi di categorie di lavoratori, dipendenti e autonomi, sempre più fluide e difficilmente standardizzabili. La riforma annunciata della fiscalità, e in particolare delle aliquote e degli scaglioni IRPEF, sembra orientata a una maggiore equità nei confronti dei redditi medi, ma dovrà anche garantire equità di trattamento per tutti i redditi da lavoro, riducendo i troppi regimi speciali».

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