Il 10 ottobre 2020 ricorre il centenario dall’annessione dell’Alto Adige all’Italia. Quasi due anni prima, finiva la Prima guerra mondiale. In seguito al voltafaccia del Governo italiano, l’Italia si era assicurata l’attribuzione dell’Alto Adige e, nonostante tutti i tentativi di rimanere con l’Austria e contro l’espressa volontà della popolazione, il territorio fu diviso.
Gli sconfitti non erano presenti al tavolo dei negoziati di pace e la mappa d’Europa venne ridisegnata in modo arbitrario, disattendendo i quattordici punti precedentemente annunciati dal presidente americano Wilson, che assegnavano all’autodeterminazione un’importanza fondamentale. Ai sudtirolesi il diritto all’autodeterminazione fu negato e il trattato di Saint Germain decretò lo smembramento del Tirolo, che da 555 anni faceva parte dell’Austria e cioè dell’Impero asburgico.
Lo stesso giorno, il 10 ottobre 1920, in Carinzia fu indetto un plebiscito sotto la supervisione degli Alleati. Esso fu preceduto dalla cosiddetta lotta per la difesa della Carinzia e i territori della Carinzia meridionale, rivendicati dal neonato Stato degli Sloveni, Croati e Serbi, rimasero all’Austria.
Sempre 100 anni fa, con un referendum, fu tracciato anche un altro confine in Europa, quello tra Germania e Danimarca: col plebiscito del 15 giugno 1920, lo Schleswig settentrionale divenne a far parte del Regno di Danimarca.
100 anni di appartenenza all’Italia hanno cambiato l’Alto Adige, soprattutto nella sua composizione etnica. Naturalmente, questi sviluppi vanno visti anche alla luce dell’immigrazione di persone provenienti da ogni parte del mondo.
100 anni di Alto Adige all’Italia significano anche fascismo, nazionalsocialismo, opzione, rinnovata negazione del diritto all’autodeterminazione alla fine della Seconda guerra mondiale (il cui germe era stato instillato con il Trattato di pace della Prima guerra mondiale), politica di italianizzazione con la costituzione della regione Trentino Alto Adige, prosecuzione della politica paternalistica e di nazionalizzazione (edilizia popolare) da parte dell’Italia democratica del dopoguerra (in violazione del primo Statuto di Autonomia), resistenza attiva con le conseguenti persecuzioni da parte dello Stato italiano, internazionalizzazione delle controversie attraverso un appello all’ONU da parte dell’Austria, appello dell’ONU all’Austria e all’Italia per una soluzione pacifica della controversia, pacchetto e calendario operativo, secondo Statuto di autonomia, chiusura della vertenza di fronte all’ONU.
Dalla chiusura della vertenza altoatesina nel 1992 sono passati quasi trent’anni. Anche se da allora non si sono più avute dispute aperte, a livello amministrativo si svolge una lotta quotidiana per i diritti di Autonomia garantiti sulla carta. È una lotta estenuante che ostacola uno sviluppo più prospero.
Due massime dominano il dibattito politico. La prima: l’Alto Adige rappresenta un modello per la tutela delle minoranze e vanta la migliore forma di autonomia al mondo; la seconda: stando in Italia, l’Alto Adige sarà presto o tardi condannato alla rovina.
Gli uni insistono sullo status quo, gli altri puntano ad un nuovo orientamento. Si parla di piena autonomia, della riunificazione del Tirolo e del suo ritorno all’Austria e della costituzione del Sudtirolo come Stato libero indipendente.
100 anni di Alto Adige all’Italia. E adesso?
Una chiara definizione di quella che è la sua posizione e un nuovo orientamento saranno indispensabili per un Alto Adige che voglia mantenere la sua indipendenza, lasciarsi alle spalle la faticosa lotta ai cavilli burocratici e avere un futuro.
Come massima forma di autonomia, l’indipendenza dallo Stato andrebbe perseguita sulla base del diritto all’autodeterminazione, con l’inclusione e la partecipazione di tutti e tre i gruppi etnici della Provincia. Questo è il punto chiave di qualsiasi progetto politico nel nostro territorio. Nessun progetto dovrebbe essere portato avanti sulla base del primato nazionale o della forza numerica dei gruppi etnici: ciò che conta è avere il consenso della gente e che sia un progetto utile alla pace.
Il 3 ottobre la Germania ha celebrato i 30 anni dalla riunificazione. Anche in Alto Adige c’è ancora il desiderio di riunificare il Tirolo storico. È un desiderio giustificato da un punto di vista storico e comprensibile sotto il profilo emotivo. Allo stesso tempo, non si possono ignorare gli sviluppi degli ultimi 100 anni: l’ingiustizia (la spaccatura del Tirolo) non è giustificata nemmeno dopo 100 anni. Ma una soluzione sostenibile richiede coraggio e lungimiranza. Non siamo più nel 1918, ma nel 2020 e viviamo in un contesto europeo che a sua volta è cambiato.
L’Alto Adige si trova nel cuore dell’Europa e ha tutti i presupposti per fungere da ponte tra l’area culturale tedesca e quella italiana, anche, e a maggior ragione, come Stato indipendente. E come si evince in maniera evidente da uno studio condotto nel 2018 dalla Società austriaca per la ricerca economica applicata GAW, l’Alto Adige è in grado di sopravvivere come Stato indipendente.
Se vogliamo imparare dalla storia (recente), dobbiamo guardare più in profondità alla riunificazione della Germania. Le discussioni sulle celebrazioni del trentennale hanno fatto capire un aspetto importante: le persone sostengono realmente un progetto solo se saranno attivamente coinvolte. Perché a 30 anni dalla riunificazione il gap tra Est e Ovest è ancora così profondo? Perché nella Germania orientale tanti rifiutano le politiche del governo federale? Perché ci sono tante tensioni sociali? Perché molti cittadini si sentono abbandonati?
Fra le cause potrebbero esserci le differenze salariali, in ambito economico, sociale e culturale, ma non sembra essere questo il fattore decisivo.
Il punto cruciale è che i due stati tedeschi non sono stati “riunificati”: la DDR ha aderito alla Repubblica Federale adottandone la costituzione. A parte il desiderio e l’improvvisa prospettiva di sfuggire al regime comunista e di una nuova libertà, gli eventi si sono succeduti rapidamente lasciando poco spazio per altre considerazioni. Il popolo dell’ex DDR, che aveva dato il suo contributo alla rivoluzione pacifica, avrebbe auspicato una nuova costituzione definita in comune dai cittadini di entrambi gli Stati. A volte la riunificazione viene percepita come una “presa di potere”. In tale contesto, gli altoatesini dovrebbero capire che la cogestione è il presupposto per l’autodeterminazione politica. Ciò che si realizza insieme sarà apprezzato e difeso insieme.
L’Alto Adige può orientarsi alla Svizzera neutrale, dove quattro etnie convivono pacificamente e dove tutti, ciò nonostante, si sentono ancora orgogliosi di essere svizzeri. L’Alto Adige continuerà ad appartenere all’UE, anch’essa attualmente sul banco di prova. Senza dimenticare la politica in materia di asilo, la crisi del Coronavirus o i vari pacchetti di salvataggio finanziario e di sostegno (a spese delle generazioni future!) che palesano tutta una serie di problematiche ancora irrisolte. Il grande difetto del progetto dell’UE risiede nella carente organizzazione democratica delle sue istituzioni.
Con una legge provinciale (la numero 3 del 2015), l’Alto Adige ha istituito la cosiddetta Convenzione sull’Autonomia per elaborare proposte di riforma del secondo Statuto di Autonomia del 1972. In un processo partecipativo (Forum dei 100 e Convenzione dei 33) sono state sviluppate proposte per l’estensione dell’Autonomia. Tre anni fa, il 22 settembre 2017, queste proposte sono state presentate al Consiglio provinciale in un documento conclusivo e non hanno ancora avuto un seguito. Per esempio, anziché abolire la regione Trentino Alto Adige e il Commissariato del Governo, anziché lottare per la sovranità finanziaria e fiscale e per le competenze per la tutela del paesaggio, la politica si perde nella noiosa quotidianità.
Una considerazione particolare nella futura politica dell’Alto Adige la meritano i ladini, soprattutto in termini di parità rispetto agli appartenenti ai gruppi linguistici tedesco e italiano. Si deve tener conto della richiesta di annessione all’Alto Adige espressa in un referendum del 2007 dai ladini di Cortina d’Ampezzo, Livinallongo e Colle Santa Lucia, e del desiderio della popolazione ladina residente nei comuni ladini confinanti con l’Alto Adige, terra alla quale sentono di appartenere.
Sudtirolo 2020
Perché per una volta non lasciamo che sia il popolo a decidere quale direzione deve prendere il viaggio dell’Alto Adige? Un referendum farebbe più chiarezza per tutti e un Alto Adige indipendente potrebbe anche dare molti nuovi impulsi per un’Europa sempre più vicina alla gente. Il ruolo nel GECT “Tirolo – Alto Adige – Trentino”, comunemente definito Euroregione, non ne verrebbe indebolito, ma valorizzato. Non si tratta di revanscismo o di nuovi confini che comunque nel frattempo all’interno dell’UE sono aperti. Si tratta di una nuova consapevolezza di sé che permetta ai tre gruppi linguistici dell’Alto Adige di sviluppare un territorio autodeterminato su un piano di parità.
I sogni del futuro sono più importanti della storia passata.
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