La possibilità di individuare diamanti, grandi e grandissimi, nello spazio più profondo è sempre stata considerata una romantica leggenda, tuttavia è ben noto che il diamante extraterrestre è presente all’interno di speciali meteoriti (ureiliti). Sulle loro dimensioni, però, non si deve fantasticare: lungi dall’essere montati su un sontuoso solitario, all’interno di una famosa meteorite (rinvenuta in Sudan e chiamata “Almahata Sitta” dall’arabo “Stazione numero 6”) sono stati rinvenuti “grandi” diamanti extraterrestri della dimensione di circa 0.04 millimetri. Non molto in verità, ma è pur vero che fino al 2015-2018 il calibro di quelli rinvenuti nelle meteoriti si posizionavano nella scala dei nanometri (1 nanometro = 1 milionesimo di millimetro).
L’origine: due ipotesi contrapposte
Più che sulla dimensione del diamante extraterrestre, è sulla loro origine che negli ultimi anni si dibatte. Da un lato gli scienziati che nel 2015 e 2018 avevano trovato gli aggregati preziosi grandi fino a 0.04 millimetri (un diamante di un decimo di millimetro è circa 100.000 volte più grande di un diamante di 1 nanometro) hanno ipotizzato che diamanti di tali dimensioni possano essersi formati direttamente nelle profondità di un pianeta di grandezza simile a Marte o Mercurio (circa 6.800 e 4.900 km di diametro, rispettivamente, rispetto ai circa 12.700 km di diametro della Terra) e con meccanismi simili a quelli con cui si formano all’interno della Terra. Il pianeta all’interno del quale si sarebbero generati tali diamanti sarebbe poi andato completamente distrutto e quindi oggi non ne avremmo più evidenza.
Dall’altro coloro che ritengono che tali dimensioni siano invece legate alla trasformazione della grafite in diamante per un grande impatto da shock subito dai corpi planetari genitori delle meteoriti piovute sulla Terra: l’ammasso stellare, con al suo interno la grafite, subisce un grande urto e genera direttamente il diamante a causa del forte aumento di pressione e temperatura. Sono quindi gli scontri spaziali dell’asteroide genitore nel sistema solare iniziale a generare diamanti con la trasformazione della grafite, la comune forma a bassa pressione del carbonio puro.
La scoperta dell’Università di Padova
La recente pubblicazione su PNAS del gruppo di ricerca coordinato da Fabrizio Nestola del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova e da Domeneghetti del Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia – in collaborazione con Cyrena Goodrich del Lunar and Planetary Institute di Houston, il Prof. Brenker dell’Università di Francoforte, la Dr.ssa Fioretti dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR e il Prof. Litasov del Vereshchagin Institute for High Pressure Physics di Mosca – ha fatto luce sulla questione del diamante extraterrestre studiando le stesse meteoriti in cui sono stati trovati i cosiddetti diamanti “grandi”.
Attraverso microscopia elettronica, micro diffrazione a raggi X (mai utilizzata prima su tali tipologie di campioni) e spettroscopia micro-Raman il gruppo di ricerca, finanziato dal Programma nazionale di ricerche in Antartide (MIUR, PNRA18-00247-A), ha scoperto il diamante più grande mai ritrovato in una meteorite (delle dimensioni di un decimo di millimetro) e, per la prima volta, ha individuato la simultanea presenza in associazione con tali diamanti “grandi”, di diamanti nanometrici, di grafite nanometrica, leghe ferro-nickel, carburi di ferro e fosforo. Inoltre l’analisi dei silicati presenti come matrice delle fasi ricche in carbonio indica senza alcun dubbio che le meteoriti abbiano subito pressioni dovute ad un evento da shock non inferiore a 15-20 Giga Pascal (una pressione di 1 Giga Pascal – GPa – corrisponde alla pressione esercitata da una colonna di roccia alta circa 30 km).
Il ruolo del ferro metallico
Secondo il gruppo di ricerca internazionale, i diamanti (sia quelli più grandi che quelli nanometrici) si sarebbero formati dalla trasformazione diretta della grafite a causa di uno o diversi impatti nello spazio. Come escludere però la tesi della formazione del diamante all’interno del proto pianeta genitore proposta nel 2015-2018 da altri gruppi di ricerca?
Nestola e i coautori nel loro studio riportano che la trasformazione diretta di grafite in diamante a causa di un impatto può avvenire solo se si è in presenza di pressioni molto più elevate dei 15 GPa (fino a 60-70 GPa), tesi che apparentemente contraddice la formazione del diamante da urto stellare. Ma spiegano che un ruolo fondamentale lo gioca il ferro metallico.
È stato dimostrato che in laboratorio è possibile sintetizzare diamante direttamente da grafite e tale sintesi è molto più veloce se alla “ricetta” di partenza si aggiunge, quasi fosse un “lievito istantaneo”, anche ferro metallico che diventa un vero e proprio catalizzatore. Gli autori dimostrano che proprio la presenza di ferro metallico all’interno delle associazioni a carbonio abbia definitivamente aiutato a far “crescere” il diamante fino alle dimensioni di almeno 0.1 mm. Inoltre ipotizzano che il corpo planetario, genitore delle meteoriti studiate, potrebbe aver subito un impatto piuttosto lungo di almeno 4-5 secondi, ulteriore evento quest’ultimo che avrebbe aiutato la crescita del diamante a pressioni relativamente basse. Questo periodo di tempo sarebbe sufficiente per la formazione di diamanti di dimensioni micrometriche grazie all’effetto catalizzatore del metallo. Poiché il ferro metallico è onnipresente e associato alle fasi di carbonio nelle ureiliti si spiega la formazione di grandi diamanti dalla grafite originale a causa di uno shock. Nestola e i coautori dimostrano quindi che la presenza di diamanti nelle ureiliti non richiede un corpo genitore delle dimensioni di Marte o Mercurio.
La scoperta del Prof. Nestola e dei suoi collaboratori potrà essere estesa in futuro a tutte le meteoriti contenenti diamanti per testare in modo definitivo l’origine da shock dei diamanti extraterrestri.
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