Oltre 50 anni di studi sperimentali finalizzati a comprendere di cosa sia fatto l’interno della Terra hanno portato alla scoperta di importanti minerali (wadsleyite, ringwoodite, bridgmanite e ferropericlasio) considerati essere rappresentativi della composizione mineralogica del pianeta a profondità maggiori di 400 km. Simulazioni in laboratorio delle condizioni primordiali di pressione (10.000 atmosfere ogni 30 km di profondità) e temperatura (3°C ogni 100 metri) hanno dimostrato che questi minerali furono tra i primi a formarsi man mano che il nucleo terrestre – una lega di Ferro e Nichel – solidificava a seguito del raffreddamento della palla di magma che costituiva il pianeta Terra più di 4.5 miliardi di anni fa. Eppure, la composizione chimica e mineralogica dell’interno della Terra risulta ancora poco nota, perché le osservazioni dirette – essendo complesse – non sono numerose.
I diamanti super-profondi
Il gruppo di ricercatori guidato da Chiara Anzolini del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova ha studiato diamanti super-profondi molto rari scoprendo al loro interno decine di micro inclusioni di minerali contenenti ferro a differenti stati di ossidazione (ferro metallico, ferroso e ferrico). Questi sono spesso “testimoni” attendibili della composizione chimica e mineralogica dell’ambiente in cui i diamanti stessi cristallizzano.
«Di sicuro è improbabile che a una profondità di 300-1.000 chilometri vi sia ossigeno libero capace di ossidare, cioè arrugginire, i minerali presenti, dando vita a nuovi solidi. Per questa ragione il diamante diventa una sorta di navicella di informazioni sulla presenza di fasi metalliche e carbonio allo stato elementare – dice Chiara Anzolini, ora ricercatrice post-doc al Department of Earth and Atmospheric Sciences della University of Alberta in Canada -. La sequenza di minerali decifrata all’interno del diamante super-profondo in esame è simile a quanto già osservato da altri ricercatori in passato. Rispetto agli studi precedenti, però, i rapporti volumetrici tra questi minerali sono tali che possono essersi formati solo dalla decomposizione di un minerale la cui formula chimica proposta, sebbene ancora oggetto di dibattito, è Fe4O5».
Il ruolo del Fe4O5
Questo minerale ad oggi viene osservato solo come prodotto di esperimenti condotti in laboratorio ad alta pressione e temperatura. La cristallizzazione di un diamante in profondità è un processo che richiede queste condizioni, ma soprattutto bassi quantitativi di ossigeno: se non fosse così minerali contenti carbonio ossidato, quali magnesite e calcite, sarebbero più presenti.
«Le inclusioni di minerali presenti all’interno del diamante osservato da Anzolini, proprio perché contenenti Ferro con vari stati di ossidazione, suggeriscono – precisa Vincenzo Stagno, professore associato di petrologia e termodinamica sperimentale dell’Università La Sapienza di Roma – che c’è stata una perturbazione chimica in profondità dovuta all’interazione del mantello terrestre con porzioni maggiormente ossigenate, probabilmente dovute al processo di subduzione terrestre».
La scoperta
Quando porzioni di crosta ricche in ossigeno arrivano in profondità, si innescano reazioni chimiche che da un lato provocano l’arrugginimento del Ferro contenuto nei minerali presenti, ma dall’altro causano la formazione di diamanti. In altre parole, i diamanti sono solo il risultato della precipitazione di carbonio a seguito della privazione di ossigeno ad opera dei minerali ricchi in ferro.
«I minerali costituiti da ferro e ossigeno sono molto studiati nella maggior parte delle discipline scientifiche, poiché influenzano direttamente l’evoluzione planetaria, la vita e la tecnologia per via delle loro proprietà magnetiche. Basti pensare – sottolinea Anzolini – alla formazione del nucleo terrestre e all’utilizzo del metallo nell’antichità. La scoperta di un diamante con inclusioni ricche di ferro a differenti stati di ossidazione suggerisce fenomeni chimici inaspettati a quelle profondità, che si accompagnano ad una serie di reazioni che lasciano intendere quanto dinamica sia la Terra al suo interno. Non è la prima volta che i diamanti super-profondi ci forniscono informazioni preziose su profondità altrimenti irraggiungibili. È un campo di ricerca che negli ultimi anni, anche grazie al lavoro del professor Fabrizio Nestola dell’Ateneo di Padova, ha subito un notevole slancio, e che sembra non accennare ad esaurire le sorprese che ci riserva sul cuore del pianeta».
La stabilità degli ossidi nella Terra profonda è una funzione complessa di pressione, temperatura, fugacità d’ossigeno, composizione ed equilibri di ripartizione tra i minerali coesistenti. «Per tutti questi motivi è sempre stato molto difficile prevedere la presenza della fase Fe4O5 nelle profondità terrestri senza approfondite indagini su sistemi con composizione realistica quali le inclusioni in diamanti super-profondi. Noi crediamo – sostiene Luca Bindi, ordinario di mineralogia del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze – che Fe4O5 sia una fase accessoria plausibile nell’interno della Terra, almeno in porzioni localmente ricche di ferro. Presentando la stessa struttura del composto CaFe3O5, la fase ipotizzata potrebbe anche ospitare quantità significative di calcio, dando luogo quindi ad un diverso scenario per la ripartizione degli elementi negli ossidi di ferro a grandi profondità».
La scoperta di un minerale come Fe4O5 apre nuovi scenari circa la composizione chimica e mineralogica del mantello profondo e funge da ispirazione per ulteriori studi sperimentali. Non è da escludere che gran parte dell’ossigeno che respiriamo oggi provenga proprio dall’interno della Terra.
«Gli ossidi di ferro hanno proprietà elettroniche uniche e interagiscono fortemente con l’ambiente circostante, in particolare attraverso reazioni chimiche di ossidoriduzione – riprende Stagno -. Il ferro è presente nei minerali fondamentali del mantello terrestre con i suoi vari stati di ossidazione, ognuno dei quali fornisce importanti informazioni riguardo allo stato di ossigenazione dell’interno della Terra e, quindi, alla possibilità che si formino minerali preziosi quali i diamanti, o sostanze mobili quali i magmi, che giungono poi in superficie attraverso l’attività vulcanica».
Questo studio, dimostra ancora una volta come importanti novità riguardo la composizione chimica e mineralogica dell’interno del nostro pianeta provengono dall’attento studio dei rari diamanti super profondi.
«Uno dei principali obiettivi della geologia della Terra solida – conclude il professor Fabrizio Nestola, direttore del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova e supervisore di dottorato di Chiara Anzolini – è comprendere la mineralogia del nostro pianeta dalla superficie fino alle sue grandi profondità, poiché la sua composizione combinata con le variazioni di pressione e temperatura influenzano l’intera dinamica terrestre».
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