Chiusure domenicali e festive in Trentino: le associazioni del commercio presentano un esposto alla Presidenza del Consiglio

Tra effetto Covid-19 e chiusure domenicali e festive imposte dalla legge voluta dalla Lega, da ora a fine anno il settore commerciale perderà 150 milioni di consumi e saranno a rischio oltre 2.000 posti di lavoro.

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«La legge della provincia di Trento che prevede la chiusura dei punti vendita nelle domeniche e nei giorni festivi rappresenta un grave danno economico per le imprese, un disservizio per i consumatori e un forte freno alla ripresa per il territorio» dichiarano unite contro le chiusure domenicali e festive  Confcommercio Imprese per l’ItaliaTrentino, Confesercenti del Trentino, Federdistribuzione, Ancc-Coop, Ancd-Conad, le associazioni del commercio maggiormente rappresentative della Provincia.

Per questa ragione le medesime associazioni hanno presentato un esposto alla Presidenza del Consiglio dei ministri, affinché quest’ultima promuova la questione della legittimità costituzionale della norma fortissimamente voluta da una Lega (che alle elezioni provinciali del 2018 aveva raccolto molti consensi proprio dai commercianti) dinanzi alla Corte Costituzionale. La materia relativa agli orari di apertura dei negozi è, secondo le associazioni dei commercianti, attinente alla promozione e tutela della concorrenza, e in quanto tale di pertinenza statale. Un fatto largamente noto che avrebbe dovuto evitare alla maggioranza leghista che governa la provincia di Trento di imbarcarsi in un’inutile prova di forza sull’altare di una mera posizione ideologica.

Secondo le associazioni dei commercianti, «è inconcepibile come una simile iniziativa sia presa in un momento di così grave difficoltà per l’economia del territorio e per il commercio. Siamo di fronte a un quadro estremamente allarmante per quanto riguarda i consumi, con cali prevedibili nel 2020 per i prodotti non alimentari del 35%. Se a questo aggiungiamo l’effetto delle chiusure domenicali e festive nei soli 6 mesi finali del 2020 possiamo stimare una riduzione dei consumi pari a 150 milioni, oltre a rischi occupazionali per oltre 2.000 persone e centinaia di negozi che potrebbero cessare l’attività». 

I commercianti sono preoccupati per il continuo calo degli affari: «i consumatori hanno bisogno di certezze e di opportunità. L’attuale clima di preoccupazione sul futuro sta limitando gli acquisti ai prodotti essenziali, procrastinando quelli rinviabili e accumulando risparmi. Chiudere la domenica e i giorni festivi la gran parte dei 5.400 punti vendita (sono esclusi quelli localizzati nei comuni turistici) che operano in Trentino significa togliere gli stimoli e le opportunità di cui invece ci sarebbe bisogno. Comporterà inoltre uno spostamento di persone dalla provincia di Trento in altre province nelle quali le restrizioni sulle aperture dei negozi non sono in vigore, e rappresenterà un ulteriore vantaggio per il commercio elettronico, una modalità d’acquisto sempre più rilevante per i consumatori, anche a seguito dell’emergenza Coronavirus». Effetti che si sono già visti nelle prime domeniche di chiusura, con lunghe code che si sono formate ai centri commerciali appena fuori il Trentino, mentre il commercio elettronico continua a macinare affari 24 ore su 24, domeniche e festivi compresi.

Per le categorie del commercio «la decisione di chiudere i negozi nelle domeniche e nei giorni festivi si muove in direzione contraria alle reali necessità di un territorio turistico che avrebbe tutte le potenzialità per ripartire e che viene invece frenato da provvedimenti inopportuni. Risulta poi incomprensibile la suddivisione del Trentino in comuni ad alta intensità turistica, con la penalizzazione di Trento, di Rovereto e di molti altri comuni. E’ stato dichiarato, anche in occasione del dibattito sulla riforma della promozione turistica, che il turista non riconosce confini amministrativi: quindi, coerentemente, tutto il territorio del Trentino andrebbe confermato a valenza turistica. Sotto l’aspetto del metodo, ci corre l’obbligo di chiedere un maggior ascolto da parte degli amministratori provinciali. Non ci pare produttivo chiudere la porta ad ogni ragionamento rimandando il tutto ad una verifica successiva».

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