Autonomia: dopo 1.000 giorni dal referendum processo finito nelle sabbie mobili romane

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autonomia differenziata

Sono passati 1.000 giorni dal giorno in cui, oltre tre anni fa, oltre 6,5 milioni di elettori di Veneto e Lombardia espressero nelle urne il loro “” alla richiesta di quella maggiore autonomia riconosciuta dalla Costituzione vigente – ma mai nel punto attuata – nelle 23 materie puntualmente indicate nella Carta. Da quel voto storico, cui successivamente si è accodata anche l’Emilia Romagna senza ricorrere alla consultazione popolare, sono passati 1.000 giorni in cui esponenti del governo Conte I e II si sono distinti nell’arte tipicamente partenopea dell’ammuina.

Eppure, ad urne appena chiuse, il risultato di ottenere quella maggiore autonomia riconosciuta dalla Costituzione per le regioni che lo chiedevano, pareva a portata di mano. Pareva, perché da quel voto la politica romana ed in particolare quella meridonalista s’è scatenata per scardinare la richiesta di Veneti e Lombardi e tenere tutto immutato, ad iniziare dall’enorme e ingiustificato trasferimento di risorse dalle regioni che le producono a quelle che sono assistite a piè di lista, complice una classe di governo che ha nel suo genoma il clientelarismo e l’assistenzialismo.

In tutta la vicenda c’è pure lo zampino di un Matteo Salvini, leader di una Lega sempre più nazionale che ha cancellato la parolaNord” nella sua ragione sociale che non ha dato il massimo per onorare il risultato referendario delle terre in cui la Lega è nata, forse timoroso di rafforzare eventuali pericolosi competitor territoriali alla sua segretaria e alla sua strategia politica che sta scontentando la base del partito.

Come se ne uscirà? Difficile dirlo, ma sicuramente non sarà nel senso scritto nella Costituzione e nelle aspettative dei 6,5 milioni di elettori. Sarà con tutta probabilità una maggiore autonomia annacquata, con lo Stato che concede qualche spazio di autogoverno nei settori meno strategici, mantenendo una ferrea gestione centralista di quei settori che da un maggiore ricorso alla sussidiarietà e alla devoluzione avrebbero molto, se non tutto, da guadagnare. Soprattutto, sarà una maggiore autonomia povera, dove quel gigantesco residuo fiscale generato da Veneto e Lombardia continuerà come prima ad alimentare quegli sprechi e mancette così tanto care al Pd e a M5s, preoccupati di non potere più alimentare quella sorta di “do ut des” in voga nelle terre del centro sud.

Probabilmente, qualche “stimolopotrebbe fornirlo il prossimo appuntamento elettorale del 21 settembre con il rinnovo di ben 7 consigli regionali, dove la maggioranza che regge il governo BisConte dovrebbe uscire ampiamente sconfitta, con un risultato che gli ultimi sondaggi danno 5 a 2 per la coalizione di centro destra. Forse si potrebbe assistere ad un caso D’Alema bis, quando Baffino, uscito trombato dalla tornata elettorale regionale, fu costretto alle dimissioni dalla guida dell’allora governo. 

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