Nel I semestre 2020 crolla il fatturato delle aziende italiane

La fotografia scattata dall’Osservatorio sui bilanci delle SRL pubblicato dal Consiglio e dalla Fondazione Nazionali dei Commercialisti. A livello nazionale calo più alto nel NordEst.

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fatturato delle aziende italiane

Crolla (-19,7%) il fatturato delle aziende italiane (Spa e Srl) nel primo semestre 2020 con una perdita di oltre 280 miliardi di euro. Il dato emerge dall’Osservatorio sui bilanci delle Srl 2018 e stime 2020 del Consiglio e della Fondazione Nazionale dei Commercialisti che ha misurato l’impatto dell’emergenza Coronavirus ed il relativo blocco generalizzato delle attività sul fatturato delle società di capitali nei primi sei mesi dell’anno.

Nell’analisi sono considerate circa 830.000 società che fatturano complessivamente circa 2.700 miliardi di euro, l’89% di tutte le imprese e l’85% circa di tutti gli operatori economici. L’Osservatorio sui bilanci dei commercialisti elabora i dati presenti nella banca dati AIDA di Bureau van Dijk.

A livello di macroarea la maggior sofferenza per il fatturato delle aziende italiane si avverte nel NordEst (-21,3%), mentre le Isole (-17,6%) fanno registrare la minor perdita in termini di variazione percentuale. Nel dettaglio emerge come nel solo mese di aprile, unico mese ad essere sottoposto interamente agli effetti della “Fase 1” del confinamento, la perdita di fatturato calcolata sulla base delle simulazioni descritte è pari a 93 miliardi di euro (-39,1%).

A livello provinciale, in Veneto la provincia in maggior sofferenza è Vicenza (-23,8%), seguita da Padova (-23,1%), Belluno (-23%), Venezia (-21,5%), Verona (-20,8%), Rovigo (-20,6%) e Treviso (-19%).

In Trentino Alto Adige, Trento chiude con -20,4% e Bolzano a -20,7%. In Friuli Venezia Giulia calo vistoso per Pordenone (-25,3%), Udine (-24%), Gorizia (-23,2%), Trieste (-16,7%). 

In Emilia Romagna Reggio Emilia (-23,6%), Modena (-23,4%), Rimini (-22,9%), Ferrara (-22,5%), Piacenza (-22%), Forlì-Cesena (-21,1%), Ravenna (-20,2%), Bologna (-19,5%), Parma (-17,7%). 

Infine, in Lombardia il calo più vistoso si registra a Lecco (-24,8%), Brescia (-23,3%), Mantova (-23,1%), Como (-23%), Bergami (-22%), Cremona (-21,9%), Varese (-21,8%), Pavia (-21,1%), Monza-Brianza (-21%), Lodi (-19,8%), Sondrio (-19,2%) e Milano (-17,4%).

Le differenze territoriali riflettono la diversa struttura produttiva territoriale, soprattutto la differente composizione del peso del fatturato proveniente dalle attività industriali e del commercio che esprimono il peso maggiore in termini di fatturato delle società di capitali italiane e che risultano essere anche le attività più interessate dal blocco. In particolare, il fatturato delle società di capitali dell’industria e di quelle del commercio, complessivamente prese, pesa per il 69% sul fatturato totale. Inoltre, nel corso della “Fase 1” del blocco, il fatturato delle società appartenenti ai settori chiusi per decreto è stato pari a 41,2% per l’industria e 43,9% per il commercio, con molti sottosettori con valori anche pari al 100% (ad esempio l’intero comparto automobilistico).

«Quella che emerge dalle nostre simulazioni sulla perdita di fatturato delle società di capitali italiane nel primo semestre dell’anno – commenta il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Massimo Miani – è una cifra impressionante che non può non destare enorme preoccupazione per il destino delle imprese italiane».

Per Miani «ora è urgente intervenire per spingere la ripresa, sia con interventi di alleggerimento della pressione finanziaria sulle imprese, a partire dal versante fiscale, sia con interventi che rafforzino il clima di sicurezza generale e quello più specifico nei settori produttivi. Non ci sembra appropriato l’eventuale intervento sull’Iva, oneroso per il bilancio pubblico, ma molto poco stimolante per la ripresa di consumi e investimenti, mentre molto importanti appaiono gli interventi di stimolazione produttiva come l’ecobonus al 110%, a patto però che vengano lanciati velocemente in un quadro regolatorio il più chiaro e trasparente possibile».

Oltre a ciò, secondo Miani «sarà fondamentale disegnare nel medio periodo una riforma fiscale che completando il riequilibrio ormai interrotto tra la tassazione sul lavoro e quella sui consumi, riduca la pressione fiscale sul ceto medio e sui giovani, così da favorire sia un accrescimento del reddito spendibile da parte delle famiglie con figli, che hanno una più elevata propensione al consumo, sia incentivando la propensione a lavorare delle fasce più deboli e l’emersione del nero».

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