C’è la crisi, ma la Cgil funzione pubblica protesta per i buoni pasto

Secondo il sindacato anche i lavoratori in remoto hanno diritto alla liquidazione del buono. De Bertoldi: «mondo sindacale del tutto avulso della realtà impegnato a tutelare chi non è stato minimamente scalfito dalla crisi».

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L’Italia è sempre più divisa in due: oltre al classico NordSud, ora ci si mette pure la lotta di classe tra lavoratori ipergarantiti e tutelati come quelli del comparto pubblico e quelli che hanno subito i pesanti effetti della crisi economica e sociale causata dalla pandemia da Coronavirus, ad iniziare dai lavoratori autonomi, con la Cgil funzione pubblica che rivendica l’erogazione dei buoni pasto anche per i lavoratori in telelavoro dal proprio domicilio. Davvero non c’è limite alla spudoratezza!

«Assistiamo ad una società sempre più sfilacciata, con gli uni in lotta contro gli altri, quasi fossimo tornati indietro ai conflitti sociali della prima metà del secolo scorso, quando Cipputi lottava contro i cosiddetticolletti bianchi” per migliorare la propria condizione esistenziale – esordisce il senatore trentino di Fratelli d’Italia, Andrea De Bertoldi -. Solo che qui le posizioni sono invertite. In piena emergenza economica da pandemia da Coronavirus, con le Partite Iva in crisi per il blocco forzato di attività e senza introiti per oltre tre mesi, che ora devono competere su un mercato in recessione, con i dipendenti del settore privato ancora in attesa della cassa integrazione e nel timore dei prossimi licenziamenti, la Cgil pretende spudoratamente per i dipendenti pubblici a casa in telelavoro i buoni pasto. Invece che fare attività sindacale nell’interesse del Paese, l’organizzazione di non rinnegata matrice comunista persiste nelle proprie pretestuose rivendicazioni a dispetto dell’equità, della giustizia e della solidarietà sociale, strombazzata solo a parole».

In ballo ci sono i famosi buoni pasto da circa 7 euro che per gli impiegati distaccati al telelavoro erano stati giustamente sospesi, essendo fisicamente molto vicini al frigorifero e ai fornelli. Pretenderne a prescindere il pagamento, per di più cumulato con l’erogazione piena dello stipendio in presenza di una produttività che non sempre è stata puntualmente verificata e della garanzia del mantenimento del posto di lavoro, dimostra come un certo sindacalismo sia del tutto fuori della realtà, soprattutto quanto tutte le analisi parlano di una buona metà della forza lavoro nazionale in una pesantissima situazione di crisi.

De Bertoldi coglie l’occasione della pelosa uscita della Cgil funzione pubblica per rivolgere una domanda al candidato sindaco di Trento espressione delle sinistre, il fresco ex segretario provinciale della Cgil Franco Ianeselli: «mi piacerebbe sentire la sua opinione in merito a questa richiesta, perché anche su questi aspetti si misura l’attitudine a gestire una comunità senza privilegiati per traghettarla fuori dalla crisi. Vorrei proprio sapere il suo giudizio personale e da candidato sindaco sulle richieste dei suoi compagni di lotta sindacale quando anche a Trento la crisi economica c’è e molto forte soprattutto tra i lavoratori autonomi che il governo BisConte pare avere del tutto dimenticato». 

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