La campagna erogativa dei contributi a fondo perduto alle aziende e ai lavoratori autonomi da parte della provincia di Trento parte zoppa con una piattaforma sì in grado di reggere il flusso delle domande, ma con qualche problema di interpretazione e chiarezza delle istruzioni, oltre ad un irrisolto problema relativo alle deleghe agli operatori professionali da parte dei richiedenti che ha sollevato dubbi sulla portata della responsabilità civile e penale in capo a chi la compila materialmente.
Quella che doveva essere una pratica «rapida e facile» nelle dichiarazioni della vigilia da parte dell’assessore allo sviluppo economico del Trentino, Attilio Spinelli, alla prova dei fatti si è rivelata una piccola lotta contro il comune buonsenso e la chiarezza delle istruzioni di compilazione, cosa che ha comportato oltre 50 minuti di “lotta” per compilare correttamente le cinque pagine della domanda dei contributi a fondo perduto.
L’appuntamento era fissato per le ore 14.00 di giovedì 11 giugno con la più volte ribadita assicurazione che non sarebbe stato un terno al lotto, uno di quei famigerati “click day” dove vince chi ha il dito più veloce del mondo (da chiedere a quelle migliaia di imprenditori che avevano diligentemente compilato la loro domanda scomodando professionisti e relative parcelle per accedere ai contributi statali per l’acquisto dei dispositivi di protezione individuale, il cui fondo si è esaurito nel brevissimo volgere di meno di un battito di ciglia dall’apertura delle domande: 1,4 secondi!).
Alle 14.05 iniziano le danze con l’accesso al portale tramite lo Spid, operazione che si conclude in pochi istanti (ottimo sistema per efficacia e semplicità: basta un’App caricata sul proprio cellulare evoluto per avere la propria identità digitale a portata di mano in qualsiasi occasione, senza tesserine e pin vari). Superata la fase dell’identificazione, il sistema riconosce automaticamente l’utente e precompila i dati anagrafici. Bello!
Qualche dubbio sull’efficacia del sistema arriva quando si passa a definire l’attività del richiedente con il codice Ateco: alla prima digitazione delle magiche sei cifre del codice il sistema si blocca con la segnalazione di errore. Una segnalazione tetragona che impedisce di proseguire oltre, ma ben si guarda di suggerire dove sia la gabola. Prova e riprova, non senza tralasciare la telefonata al proprio commercialista per avere lumi, proprio quando la pazienza è agli sgoccioli, l’illuminazione: non sarà che bisogna anche inserire i punti di separazione ogni due cifre del codice? Bingo! Peccato che il modulo non lo suggerisca con un’apposita grafica né con un apposito pop-up che integri il mero avviso di errore. Si sarebbero risparmiati preziosi minuti e un bel giramento di zebedei.
Altro scoglio apparentemente insormontabile è con la casella degli addetti, cosa che nel caso di chi è un lavoratore autonomo libero professionista senza dipendenti dovrebbe essere un bel zero. Ma così non è: il sistema inizia a suggerire la necessità che il «numero minimo accettato è 0.01”. Un decimo di professionista? Cercando e scavando nelle istruzioni, si riesce a capire che la casella richiede i mesi di occupazione nell’anno antecedente allo scoppio della pandemia da Coronavirus da indicare in dodicesimi di anno. Visto che si è lavorato, tra alti (pochi) e bassi (molti) tutto l’anno, la logica sarebbe indicare “12/12”.
Peccato che tale dato faccia scattare nel sistema l’attivazione di “azienda con più di 9 dipendenti” invece che “piccola impresa con meno di 9 dipendenti”, cosa che non è affatto tale. Gira e rigira (e nuova telefonata al commercialista) non si riesce a cavare un ragno dal buco e si tenta la sorte: essendo chi compila la domanda un lavoratore autonomo “single” che ha lavorato tutto l’anno, si tenta con un “01/12”. Via libera, anche se tra qualche brivido lungo la schiena circa l’effettiva correttezza del dato.
Tutto fila via liscio con la visualizzazione della domanda completata in formato Pdf sulla scrivania. Controllata la correttezza dei dati inseriti, sembrerebbe giunta la fine, cui manca solo la firma digitale finale (un adempimento di cui non si capisce francamente l’utilità, visto che il sistema ha già appurato chi è chi compila all’atto dell’accesso con lo Spid). Tant’è: per il doppio passaggio di verifica dell’identità del richiedente (per fortuna che non si è previsto un terzo grado di controllo, sulla scia della tendenza alla tripartizione tutta italiana…), si armeggia con la tesserina della firma elettronica e del relativo lettore attaccato al computer. Aperto il programma della firma digitale, individuato il documento da firmare, inserito il Pin, pigiato il pulsante relativo, taaac! Ecco il documento firmato elettronicamente.
Pregustando la prossima fine dell’iter, si clicca sul pulsante “allega” del portale per allegare la preziosa domanda firmata e controfirmata digitalmente, ma… Nulla! Il sistema vede che sulla scrivania c’è il documento, ma non riesce ad allegarlo. Nuovo tentativo di rapida compulsazione delle istruzioni, che non dicono nulla, ennesima telefonata al commercialista (questa volta uno diverso, un amico) che non sa a che santo votarsi. Anche a lui il sistema rifiuta l’allegamento nel primo tentativo che fa.
Dopo qualche parola irriferibile, nuovo lampo del genio della disperazione: si prova il “drag & drop” o “trascinamento” della domanda firmata digitalmente sul pulsante “allega”. Nuova tombola: il sistema finalmente allega e non rimane che premere l’agognato pulsante “invia” per completare tutta la pratica. Cosa che si completa in pochi attimi ritornando alla finestra di partenza.
Attimo di panico: e la ricevuta dell’avvenuto invio? Dove sarà mai? Anche se si è nell’Autonomia speciale del Trentino, si è sempre in Italia e carta (e ricevute) canta… Breve ravanamento tra le due icone della schermata iniziale, per scoprire nella seconda una bella stringa che invia a schiacciare un pulsante per scaricare la ricevuta di avvenuto corretto invio e presa in carico del sistema. Il tutto dopo “solo” 50 minuti di combattimento informatico.
«Il sistema è oggettivamente poco semplice e con qualche “baco” da sistemare al più presto – afferma il presidente dell’Ordine dei commercialisti e degli esperti contabili del Trentino, Pasquale Mazza -. Dai 700 professionisti iscritti all’Ordine in questi giorni ho ricevuto centinaia di telefonate preoccupate, sia per l’incongruenza di alcuni passaggi contenuti nelle istruzioni e nelle “Faq”, oltre che per la responsabilità civile e penale in capo a chi compila la domanda per conto di terzi tramite la delega. Poi, esperienze vissute come quella che racconta emerge anche una certa approssimazione nella predisposizione della piattaforma che è auspicabile venga corretta al più presto nelle prossime ore».
Mazza nutre anche seri dubbi sull’effettiva affluenza delle domande per i contributi a fondo perduto: «la Provincia ipotizza in circa 27.000 gli aventi diritto per accedere al plafond da 89 milioni stanziati. Ma sia per i vincoli contenuti in capo a chi accedere ai benefici e considerata la ridotta entità degli stessi – da 3.000 a 5.000 euro – probabilmente non faciliteranno l’adesione da parte di quegli imprenditori che rischiano di chiudere l’attività. Impregnarsi a mantenere invariata l’occupazione esistente per almeno tutto il 2021 è troppo penalizzante, così come il tetto di reddito (da 40.000 a 70.000 euro) di chi propone la domanda, davvero basso».
Staremo a vedere nei prossimi giorni su come la situazione dell’erogazione dei contributi a fondo perduto migliorerà, visto che per presentare la domanda c’è tempo fino alla fine di luglio, anche se le erogazioni dovrebbero avvenire in base alla data di presentazione delle stesse, già entro la fine del mese. Intanto, l’assessore Spinelli, un commercialista libero professionista prestato alla politica in veste da tecnico esterno, richiesto di un commento in merito ha preferito un significativo silenzio.
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