Coronavirus, Italia malata… di (mala)burocrazia

In 100 giorni emanati 204 provvedimenti: 3.812 pagine destinate agli imprenditori. Confapi Padova: «un’epidemia di decreti e ordinanze tante carte, ma pochi aiuti concreti».

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(mala)burocrazia
L'elenco delle centinaia di norme emanate per la gestione della pandemia da Coronavirus.

Festa della Repubblica o festa della (mala)burocrazia? Verrebbe da chiamarla così considerando che, proprio il 2 giugno, ricorrono i primi 100 giorni dall’entrata in vigore del Decreto Coronavirus dello scorso 23 febbraio, che introduceva “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19”, instaurando le cosiddette “zone rosse”. Di fatto è il provvedimento che ha fatto da apripista a tutti quelli che sono venuti dopo, scandendo il ritmo degli ultimi tre mesi drammatici. 

Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, ha provato a mettere in fila gli atti che riguardano più da vicino gli imprenditori veneti. Ebbene, sono usciti numeri che spaventano. Tra DPCM e decreti legge sono 19 quelli strettamente governativi, a cui aggiungere 62 tra decreti, ordinanze, circolari e informative varie ministeriali, e altri 87 documenti provenienti da istituti, agenzie ed enti nazionali, per un totale di 168 provvedimenti. 

A questi ne vanno aggiunti altri 36 emanati dalla Regione Veneto e, focalizzandosi sulla provincia di Padova, 6 comunicazioni della Prefettura. Il totale è impressionante: 204 atti (210 considerando la situazione padovana), in pratica più di due al giorno. Ma ancora di più lo è il conto delle pagine che compongono il “malloppo”: 3.812 (3.825 con gli atti della Prefettura). Il tutto, è il caso di ribadirlo, contando esclusivamente i documenti che interessassero la sfera dell’attività imprenditoriale, senza inserire quelli relativi alla cura personale e all’organizzazione interna dei vari enti. 

Altra nota: non sono state considerate le numerose ordinanze emesse a livello comunale, che vengono ad arricchire ulteriormente il conto e che porterebbero il totale ben oltre le quattromila pagine. Né figurano nel conto, ovviamente, i 110 nuovi provvedimenti attuativi attesi per rendere operativo il Decreto Rilancio. A proposito: è di 555 il totale gli articoli contenuti nei vari decreti nazionali, con la parte principale svolta proprio dal Decreto Rilancio dello scorso 19 maggio, che ne infila da solo 266 e che, occorre precisarlo, continuerà a essere soggetto a emendamenti sino a mercoledì 3 giugno. 

«All’epidemia vera si è accompagnata quella della (mala)burocrazia, che rappresenta quasi sempre l’esercizio dello strapotere dello Stato e dei suoi apparati sui cittadini, per non dire degli imprenditoricommenta il presidente di Confapi Padova, Carlo Valerio -. Si nutre di tempo, soldi, credibilità perduta delle istituzioni, rancore dei cittadini e imbarazzo dei funzionari, almeno di quelli volenterosi. Ci è riuscita, la (mala)burocrazia, inventando un linguaggio suo proprio, quasi incomprensibile, che ha creato inceppamenti anche fra gli stessi enti, si pensi solo ai ritardi nell’erogazione della cassa integrazione per le incomprensioni fra Regione e Inps. E il punto è che non solo gli atti di cui tener conto sono troppi, e molte volte in contraddizione fra loro, ma non c’è praticamente alcun documento ufficiale che non abbia bisogno di un traduttore/interprete per venire compreso e che non sia imbottito di riferimenti ad altri atti da abrogare. Si determina una situazione paradossale: se io non capisco cosa mi viene chiesto, farò fatica a farlo, ma se anche chi mi controlla non capisce cosa dovrebbe farmi rispettare, perché è scritto male e in forma non chiara, io non potrò fare il mio dovere e lui non potrà fare il suo». 

Curioso, a questo punto, prendere in esame un paio di esempi di (mala)burocrazia, in questo caso tratti da uno dei decreti più attesi e, a conti fatti, deludenti, di questi 100 giorni: il cosiddetto Decreto Liquidità dello scorso 8 aprile. L’articolo 13 (“Fondo centrale di garanzia Pmi”) è un vero “gioiello”, composto com’è da 13 commi, in cui il primo scorre dalla lettera a) alla p), con la lettera c) suddivisa a sua volta in 3 numeri. Alla lettera m) spicca un periodo di ben 2.300 caratteri, senza punteggiatura. Il successivo comma 2 si “limita” a essere ripartito in lettere dalla a) alla h), ma l’andazzo è lo stesso. E poi, altro elemento da considerare, proliferano ovunque le abrogazioni e i riferimenti a norme precedenti, costringendo i malcapitati lettori ad un continuo sfoglio di norme e pandette varie. 

Sempre nello stesso decreto, il comma 8 dell’articolo 18 (“Sospensione di versamenti tributari e contributivi”) è a sua volta emblematico da citare testualmente: «per i soggetti aventi diritto restano ferme, per il mese di aprile 2020, le disposizioni dell’articolo 8, comma 1, del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, e dell’articolo 61, commi 1 e 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, per i mesi di aprile 2020 e maggio 2020, le disposizioni dell’articolo 61, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18. La ripresa della riscossione dei versamenti sospesi resta disciplinata dall’articolo 61, commi 4 e 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18». Chi ci ha capito qualcosa alla prima lettura, è un genio!

Per quanto riguarda il conto degli articoli nei decreti governativi, come detto, il “capolavoro” di (mala)burocrazia è il recente Decreto Rilancio, che ne assomma 266, con 600 diversi provvedimenti per smuovere 55 miliardi, a fronte, ad esempio, dei 100 provvedimenti del “Cares Actamericano che ha movimentato ben 2.300 miliardi di dollari. 

«Non serve essere un critico letterario per affermare che la qualità della prosa è alquanto scadente, inzeppata di formule ambigue (“i congiunti”, oppure il termine “coreutica” al posto del più comune “danza”) e norme ordinate per ministero (ad esempio Mise o Lavoro) e non per obiettivo. Non a caso ad accompagnarlo ci sono altre 200 (!) pagine di relazione tecnica – chiosa sconfortato Valerio -. E diciamo tutto questo senza considerare che la gestione dell’emergenza è stata declinata in modo diverso fra lo Stato e le varie Regioni. Ne emerge un quadro in cui la pubblica amministrazione è in affanno totale. Questa era già la nazione in cui un imprenditore impiega 238 ore annue per pagare le imposte, il 46% in più della media Ocse. L’emergenza ha reso la situazione ancora più grave. Ne esce il ritratto di un’Italia malata, sì, ma di (mala)burocrazia».

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