Interventi per risollevare l’economia nazionale poco efficaci e lungimiranti

Bitonci: «al governo BisConte e alla sua maggioranza delle 4 sinistre è mancato il coraggio di rilanciare effettivamente il Paese. Si è puntato troppo sul mero assistenzialismo più che su strategie per una crescita duratura».

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Imu scadenze fiscali
L'ex sindaco di Padova, Massimo Bitonci, vince contro lo Stato.

La prima parte della pandemia da Coronavirus pare avviata sulla strada della conclusione e gli effetti dei vari provvedimenti emanati dal governo BisConte per risollevare l’economia nazionale dopo due mesi di chiusura quasi totale delle attività sembrano solo dei pannicelli caldi incapaci di curare la vera malattia del Paese: una crescita asfittica dell’economia che dura orma da più di tredici anni, essendo l’Italia l’unico tra i grandi paesi a non avere ancora recuperato i livelli antecedenti la grande crisi del 2008-2009.

Con Massimo Bitonci, deputato e capogruppo Lega in commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, già sottosegretario all’Economia e Finanze nel ContePrimo, il punto sulla situazione presente e futura dell’economia nazionale, analizzando i vari provvedimenti fin qui emanati per risollevare l’economia nazionale.

Da tecnico commercialista più che da politico, che giudizio dà dei provvedimenti fin qui emanati dal governo BisConte per il sostegno dell’economia nazionale?

Alla prova dei fatti, risollevare l’economia nazionale il governo ha emanato molto fumo ma pochi fatti concreti per il rilancio dell’economia nazionale, spesso disposti in modo confusionario, quasi abbiano voluto fare apposta provvedimenti di difficile applicazione pratica. Di fatto, della promessa di iniettare 400 miliardi di liquidità a sostegno delle aziende sono in circolazione meno di 60 miliardi di euro che servono quasi integralmente a coprire le garanzie per i debiti che le aziende possono accendere con la garanzia totale o parziale dello Stato. Anche qui, l’effetto liquidità si sta facendo attendere, in quanto su 559.000 domande pervenute alle banche sono stati erogati solo 290.000 prestiti sotto i 25.000 euro. Sopra i 25.000 euro, le domande accolte sono state ancora di meno: 11.000 su 48.000 presentate. Quello che nelle intenzioni di Giuseppe Conte e della sua maggioranza delle quattro sinistre doveva essere un bazooka si è rivelato solo un colpo a salve. Non c’è stata una vera immissione di liquidità nel sistema come aveva annunciato il governo, visto che di reale liquidità in totale è stata erogata una cifra inferiore a 8 miliardi.

C’è poi il problema del ritardo nell’erogazione della cassa integrazione in deroga.

Anche qui, sono ancora troppi i lavoratori che aspettano l’erogazione e tante aziende che l’hanno potuto anticipare sono ormai in crisi di liquidità. Qua serve un deciso colpo di reni da parte del Governo e, soprattutto, da parte dell’Inps e del suo presidente Pasquale Tridico, che ha ben poco di autolodarsi: l’Inps non è stato assolutamente in grado di destinare il denaro spettante ai lavoratori e alle famiglie, tanto che sono tantissimi che in tre mesi non hanno ricevuto nulla. L’Inps e il suo vertice fortissimamente voluto dal M5s non è assolutamente scusabile, visto che è il responsabile del caos più assoluto in cui tutta la vicenda è stata gestita».

Ne va meglio sul fronte dei professionisti, visto che il governo BisConte è stato capace di inimicarsi in un colpo oltre 2,4 milioni di Partite Iva con l’ignobile erogazione dell’elemosina di 600 euro e con l’esclusione dei professionisti ordinistici dall’erogazione degli indennizzi a fondo perduto, tanto che questi hanno organizzato per il 4 giugno una manifestazione di protesta.

Qui, oltre che da politico, parlo da professionista iscritto ad un ordine. Riguardo al mondo delle professioni, la maggioranza delle quattro sinistre che regge il governo BisConte dimostra in piena chiarezza la sua visione di società. Da una parte, disoccupati, immigrati irregolari e sfaticati in generale coccolati e riveriti con l’erogazione del reddito di cittadinanza e prebende assistenzialistiche varie. Al centro i lavoratori dipendenti, garantiti dall’erogazione dello stipendio o della cassa integrazione. Infine, il variegato mondo delle professioni, ordinistiche e non, che è stato totalmente trascurato se non scientificamente penalizzato, quasi fossimo in un’epoca di nuova lotta tra le classi sociali. Non è possibile lavarsi la coscienza con l’erogazione di un contributo di 600 euro per tre mesi, erogazione per altro fino ad ora garantita solo per i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata Inps, mentre per quelli iscritti alle casse di previdenza privatizzate hanno percepito solo la rata di marzo e per i mesi di aprile e maggio sono ancora senza nulla a causa di un errore di compilazione del decreto. L’ammontare dell’erogazione è, come dice lei, una misera elemosina, inferiore perfino all’ammontare del reddito di cittadinanza che, a differenza dei professionisti, viene erogato per ogni componente del nucleo familiare. Questo la dice lunga della considerazione del mondo delle professioni e della conoscenza da parte del governo più sgarrupato della storia della Repubblica italiana! Soprattutto, è necessario equiparare i professionisti alle altre attività economiche, cancellando l’inutile ritenuta d’acconto del 20% gravante sulle parcelle dei lavoratori autonomi. Non si tratta di un regalo fiscale, visto che le tasse finiscono per pagarle come le altre aziende alla scadenza, ma solo di un’iniezione di liquidità inutilmente drenata in anticipo dal Fisco che genera spesso l’insorgenza di vistosi crediti d’imposta che penalizza grandemente il settore.

Scandalosa anche l’esclusione dei professionisti dall’erogazione degli indennizzi a fondo perduto.

Sono d’accordo e il mondo delle professioni fa bene a protestare il 4 giugno, manifestazione cui dò il mio sostegno e partecipazione: il governo BisConte dimostra pure di non conoscere le normative comunitarie e nazionale, che equipara il professionista ad una piccola impresa e, come tale, è pienamente legittimato ad accedere agli indennizzi a fondo perduto. Nel corso della conversione del decreto “Rilancio” nella discussione parlamentare, mi auguro che la maggioranza capisca il sostanziale errore di merito compiuto provvedendo a correggere la norma, come autorevoli esponenti della maggioranza hanno già dichiarato di voler fare. Dalle opposizioni ci sarà tutto il sostegno per modificare in meglio la norma che deve prevedere anche l’automatismo delle erogazioni da parte dell’Agenzia delle entrate, visto che possiede tutti gli strumenti per conoscere in tempo reale l’attività economica di tutti i soggetti fiscali attivi nel Paese. Gli indennizzi a fondo perduto devono essere in grado di coprire almeno le spese fisse – come affitti, bollette delle forniture, retribuzioni del personale non coperte dalla Cig – sostenute dagli operatori economici tutti.

In questo contesto, i 55 miliardi del decreto “Rilancio” rischiano di non bastare e il “Recovery Fund” europeo è ben lungi dall’essere realtà.

Come detto in precedenza, al governo BisConte è mancato il coraggio di fare una manovra realmente anticiclica capace di risolvere l’immediata emergenza e di imprimere un deciso cambiamento all’andamento dell’economia nazionale. Sono d’accordo che i 55 miliardi autorizzati dal Parlamento non sono sufficienti per una manovra di largo respiro capace di risollevare l’economia nazionale. Più che puntare al “Mes” e al “Recovery Fund” europeo che pongono più problemi che vantaggi, la strategia dovrebbe muoversi su due fronti: da una parte puntare su un maggiore livello di debito pubblico diretto, puntando ad una maggiore attività sul mercato dei titoli di Stato offrendo almeno 30-40 miliardi di Btp aggiuntivi che potrebbero essere assorbiti dal mercato senza problemi se si guarda all’andamento delle recenti aste, dove la domanda di “carta” italiana è stata di molto superiore all’offerta a costi tutto sommato convenienti. Dall’altro, in presenza di un chiaro quadro di strategia di sviluppo economico che veda il taglio della tassazione sulle imprese e sulle famiglie, così come ha da poco presentato la Lega con il rilancio della “Flat Tax” e su un drastico taglio della burocrazia che blocca i 130 miliardi di opere pubbliche già disponibili, si creerebbero le condizioni di base per il rilancio dell’attività economica e, soprattutto, della manifattura italiana che è la seconda d’Europa, che oggi è frenata da troppe tasse, troppe regole e troppi soggetti decisori.

La linea del governo BisConte sembra andare in direzione diametralmente opposta, a partire dal “Recovery Fund”, atteso come una sorta di nuova manna.

Tutti coloro che attendono dall’Europa provvedimenti salvifici per risollevare l’economia nazionale, prima di fare le affermazioni come quelle che circolano con sempre più insistenza dovrebbero avere l’umiltà di leggere dall’inizio alla fine le carte che accompagnano i provvedimenti di sostegno europei. All’Italia il “Recovery Fund” così come è al momento concepito conviene poco o nulla, in quanto i 70-80 miliardi di euro attesi a fondo perduto (oltre ai 95 di prestiti da restituire) sono ben poca cosa al netto dei contributi che l’Italia dovrà erogare per sostenere il fondo nel suo complesso: secondo alcune stime, dovrebbero aggirarsi a circa 60-65 miliardi di euro. Al netto dei versamenti, la quota di erogazione a fondo perduto per l’Italia si riduce così a circa 15-20 miliardi di euro, che poi non saranno erogati in un’unica soluzione ma rateizzati su almeno 4 anni, a fronte di precise e puntuali rendicontazioni sulle spese effettuate nei settori d’intervento che saranno autorizzati dalla stessa Commissione europea. Chi propala, come fanno insistentemente autorevoli esponenti del M5s, che con il “Recovery Fund” si può tagliare le tasse agli italiani, mente al Paese. A questo punto, tanto vale far da sé e rivolgersi direttamente al mercato finanziario, liberi di ogni sorta di vincolo comunitario.

L’Italia così non rischia di essere in balia dei mercati finanziari?

Tutto dipende dalla serietà del progetto di rilancio per risollevare l’economia nazionale e dall’autorevolezza di chi lo gestisce. Se il Paese non imbocca subito la strada di una crescita più sostenuta di quella che ha caratterizzato gli ultimi tre lustri, puntando su almeno il 2% annuo, anche la stessa gestione del debito pubblico diventa un problema, così come sarà un problema sempre più drammatico la disoccupazione e la povertà dilagante, che non può essere affrontata solo con l’assistenzialismo. Se si mette in atto un progetto condiviso da una larga maggioranza che veda l’individuazione di 3-4 filoni generali d’intervento (dall’edilizia alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere pubbliche, lo sblocco dei cantieri già finanziati, il sostegno alla filiera dell’automotive, il rilancio delle attività di ricerca e sviluppo di nuove tecnologie, il settore moda e il turismo), la riforma della fiscalità su famiglie e imprese e il taglio della burocrazia, credo si possa generare un volano positivo per la crescita del Paese, a patto che tale piano lo si lasci operativo per almeno 3-4 anni prima di vedere i suoi effetti. In caso contrario, si rischia un boomerang quanto a credibilità, come è successo con il progetto della “Flat tax” per i lavoratori autonomi di cui ero uno dei protagonisti nel precedente governo: quando il meccanismo stava iniziando ad ingranare con notevole adesione da parte degli interessati, come primo atto il governo BisConte delle quattro sinistre ha provveduto a ridurne grandemente la portata, con tanti contribuenti rimasti a metà del guado, delusi e disorientati. Per cambiare con successo il Paese non basta uno schiocco di dita, ma servono politiche serie e coerenti  per risollevare l’economia nazionale che durino almeno 3-4 anni.

Tra i 55 miliardi del decreto “Rilancio” ci sono soldi per tutto e di più: la solita erogazione di denaro a pioggia senza una reale finalizzazione su pochi e chiari filoni per il rilancio dell’economia?

Pd, M5s, Iv, Sinistre varie stanno realizzando la solita pioggerellina di denaro facile per tanti, troppi settori. Con il livello mostruoso del debito italiano stimato a crescere fino (e, forse, oltre) a 2.500 miliardi di euro, pari a circa 40.000 euro per ogni cittadino, si deve avere il coraggio di concentrare gli investimenti sui filoni che hanno reale capacità di mettere in moto l’economia del Paese. In questo contesto, bene gli interventi sul settore immobiliare, ma non a livello del 110% che apre a prevedibili scenari truffaldini di sovrafatturazione per centrare il contributo massimo. Qui basta fermarsi al 100% della spesa sostenuta, che è già un formidabile volano per il rilancio dell’edilizia e il contenimento dei consumi energetici (e qui servirebbe maggior sforzo per non limitarsi solo all’incremento di sole due classi di merito rispetto alla classe di efficienza energetica dell’edificio – la maggior parte del patrimonio immobiliare italiano è in classe “E” -, ma puntare con decisione a raggiungere almeno la classe “B”) e per l’abbattimento delle emissioni inquinanti da riscaldamento che, specie al Nord Italia, è una delle maggiori fonti della cattiva qualità dell’aria per cui finiamo sempre sanzionati dall’Europa con multe milionarie. Ma erogare contributi come quello per l’acquisto di biciclette o monopattini è forse troppo. Così come lo è sicuramente l’incremento del fondo per l’auto a basso impatto ambientale, che finisce solo per finanziare l’industria estera e le tecnologie dove la Cina esercita un monopolio di fatto, mentre nulla è stanziato per la filiera dell’automotive nazionale che pure genera 105,9 miliardi di fatturato, pari all’11% del fatturato della manifattura italiana e il 6,2% del Pil nazionale, senza trascurare i 76,3 miliardi di gettito fiscale. E questo per non dire del settore della moda o del turismo, altri due volani dell’economia e dell’occupazione nazionale. Nel corso della discussione parlamentare cercheremo di reindirizzare gli investimenti su precisi filoni: oltre a quello dell’edilizia, l’automotive, la moda e il turismo.

Per il turismo italiano, il 2020 si presenta molto magro.

Per questo settore, più che con la “trovata” del buono alle famiglie da scontare presso le imprese turistiche già in crisi di liquidità, si deve avere il coraggio di intervenire sul fronte fiscale, ad iniziare dall’Iva che deve essere portata alla media degli altri paesi europei nostri concorrenti, a partire dalla Francia, Spagna, Croazia e Grecia. Poi, bisogna ridurre il costo dell’energia, soprattutto per le attività di montagna, dove rappresenta una delle voci di costo più alte, decisamente maggiori di quella degli altri competitori alpini europei. Da non trascurare, sempre in tema di energia, il costo italiano dei carburanti, tra i più cari d’Europa. Visto che gran parte del movimento turistico europeo utilizza l’automobile, sarebbe necessario tagliare da subito una fetta di accise gravanti sui carburanti, allineandoli con quelli dei nostri concorrenti più vicini, che possono vantare almeno 30 centesimi di minor costo ogni litro, cosa che costituisce un fattore non secondario di attrattività e di mobilità sul territorio del turista.

Lei crede che il Parlamento possa votare le correzioni che propone?

Vorrei vivamente crederci, anche perché errare è umano e perseverare è diabolico. Ma guardando la realtà vedo che la maggioranza delle quattro sinistre è pienamente impegnata nelle solite politiche che hanno consegnato l’Italia all’assistenzialismo, allo spreco, al clientelarismo, alla crescita abnorme del deficit pubblico e ad una crescita rasoterra. La maggioranza crede che si possa risollevare l’economia nazionale con l’erogazione a pioggia di denaro si riesca a comprare quel consenso che sta perdendo ogni giorno che passa e si possa evitare problemi di rivolta sociale. Ma così non sarà e, se l’Italia non cambia rapidamente direzione di marcia, la crisi economica nei prossimi mesi si amplificherà e con essa anche i problemi sociali che già ora preoccupano grandemente il Viminale e il Presidente della Repubblica.

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