Per accedere al prestito Mes è necessario che l’Unione Europea dichiari che il debito pubblico dello Stato che richiede il prestito, sia “sostenibile”.
La Commissione ha dichiarato che “Anche se la posizione debitoria si è deteriorata come risultato della crisi prodotta dal Covid-19, il rapporto tra debito e Pil nello scenario base è previsto su una traiettoria sostenibile e discendente nel medio termine”.
La redazione di Bruxelles di Europatoday l’8 maggio scorso ha pubblicato un articolo col titolo a caratteri di scatola: “Il debito italiano è sostenibile, parola della Commissione UE. La valutazione della sostenibilità redatta per stabilire l’idoneità ad accedere alle linee di credito del Mes promuove il nostro paese”.
Lo scenario base prevede che nel 2020 il Pil italiano subirà un crollo del 9,5% e di conseguenza il rapporto debito/pil alla fine di quest’anno toccherà il picco del 159% (ma se i signori di Roma aspettano ancora a pubblicare il “Decreto Rilancio” e se dentro troveremo oscenità tipo la ricapitalizzazione dell’Alitalia temo che questo 159% lo supereremo di almeno 10 punti). Poi diminuirà progressivamente ed è previsto un livello poco sopra il 140% alla fine del 2030. La media Eurozona prima del Covid-19 era 86%.
Contento come una Pasqua, due giorni dopo il presidente Conte ha ricordato anche sul Corriere della Sera di Domenica 10 Maggio che “La Commissione Europea ha certificato che il debito italiano è sostenibile…”
Questi “salti mortali” sono il risultato del faticoso e paziente lavoro di preparazione del commissario europeo Paolo Gentiloni e del ministro all’Economia italiano Roberto Gualtieri, che a pagina 17 del Documento di Economia e Finanza deliberato il 24 aprile dal Consiglio dei ministri aveva già scritto che “In primo luogo il debito pubblico dell’Italia è sostenibile, e il rapporto debito/pil verrà ricondotto verso la media dell’area euro nel prossimo decennio, attraverso una strategia di rientro che oltre al conseguimento di un congruo surplus del bilancio primario si baserà nel ritorno degli investimenti, pubblici e privati, grazie anche alla semplificazione delle procedure amministrative. Tanto maggiore sarà la credibilità delle riforme strutturali messe in atto, tanto minore il livello dei rendimenti sui titoli di stato, agevolando il processo di rientro”.
Ma sulla reale sostenibilità del debito pubblico italiano devo ricordare l’intervento del bravissimo e come sempre molto concreto Fulvio Coltorti alla trasmissione “Va pensiero. Parole e futuro” del 27 Aprile (Sky Classica HD, canale 136, condotta da Piero Maranghi). Ecco le sue parole: “Il nostro debito pubblico adesso è di circa 2.450 miliardi. La ricchezza degli italiani è di circa 9.700 miliardi di Euro. Anche non contando le abitazioni, noi abbiamo una ricchezza finanziaria in capo alle famiglie notevolmente superiore al debito pubblico. Quindi il debito pubblico italiano per definizione è sostenibile …” .
Per essere più chiari, questo significa che se un governo nel prossimo futuro si accorgesse di non essere in grado di pagare le quote in scadenza del debito pubblico potrà, se deciderà comunque di pagarle, far approvare dal Parlamento e mettere in Gazzetta Ufficiale una tassa straordinaria sulla ricchezza finanziaria della famiglie.
Ovvio che è necessario fare tutto il possibile per evitare questa situazione.
La parola chiave è “credibilità”.
Si parla di spese da tagliare, ma voglio ricordare che siamo comunque quasi sempre in avanzo primario, e che i maggiori risparmi si possono fare proprio con la voce “interessi passivi sul debito pubblico”.
Nel 2018 la spesa per gli interessi è stata di 64.626 milioni. Diviso 365 giorni fa 177 milioni al giorno. Questo è il parametro che ho sempre utilizzato per valutare tutte le leggi e le operazioni dei governi. Per esempio, il famoso taglio dei vitalizi dei parlamentari ha fatto risparmiare, tra Camera e Senato, 56 milioni all’anno: questo significa che ha fatto risparmiare una cifra uguale a circa 8 ore di interessi passivi sul debito pubblico. A Roma hanno lavorato e litigato per mesi per risparmiare 480 minuti di interessi passivi, ma di come ridurre il debito pubblico nella sua interezza non ne hanno nemmeno parlato. A Roma si lavora per il “Dio voto”, non certo per il sistema paese.
Ecco un altro punto da ricordare: la spesa per gli interessi passivi dell’anno 1998, attualizzata con l’indice dei prezzi al consumo, era stata di 120.498 milioni (Fonte: scenarieconomici.it). Diviso 365 fa 330 milioni al giorno. Perbacco, in 20 anni, dal 1998 al 2018, la spesa per gli interessi passivi è diminuita da 330 a 177 milioni al giorno. Che bravi! Miracolo? No, non si tratta di un miracolo, si tratta di Euro!
Il debito pubblico alla fine del 2018 era di 2.316.300 milioni. Venti anni prima, alla fine del 1998, erano 1.258.200 nominali e 1.757.152 attualizzati con l’indice dei prezzi al consumo 2018. La differenza (il nostro risparmio, ovvero la nostra minore spesa per interessi passivi sul debito pubblico) tra i 120,4 miliardi del 1998 e i 64,6 miliardi del 2018 è di 55,8 miliardi. Dunque grazie all’Euro, nel 2018 abbiamo diminuito il costo degli interessi passivi sul debito pubblico di 20 anni prima di una cifra superiore ai 55 miliardi del “Decreto Rilancio”. Vi rendete conto? Il debito era aumentato di poco meno del doppio e la spesa per gli interessi passivi invece di aumentare anche lei si era quasi dimezzata. E parliamo di miliardi di Euro
Guardiamo al futuro. Scendere in 10 anni dal rapporto debito/Pil di 159% al 140% sarà molto difficile e non ce la faremo mai se nei palazzi di Roma si penserà, come purtroppo succede da anni, solo a gestire il potere, ai voti e alle elezioni.
Ecco due considerazioni.
1 – Sul Corriere della sera del 30 marzo 2020, Giulio Tremonti raccomanda “Un piano basato sull’emissione di titoli pubblici a lunghissima scadenza con rendimenti moderati ma sicuri e fissi, garantiti dal sottostante patrimonio della Repubblica, titoli assistiti come in un tempo che è stato felice, da questa formula: esenti da ogni imposta presente e futura”. Sul Sole 24 ore del 6 Maggio, Tremonti è tornato sull’argomento ed ha parlato di “Titoli patriottici”. Matteo Salvini è d’accordo e parla spesso di questo progetto facendo riferimento anche all’“Orgoglio italiano”.
Pochi giorni prima, sul Sole 24 Ore del 25 marzo 2020, Gianni Tognolo auspicava l’emissione di titoli perpetui non rimborsabili ma negoziabili.
Dunque, la cosa è nell’aria, e ne parlano in tanti: cito solo Marco Vitale, che ha intitolato “Raddrizziamo l’azienda Italia come premessa per una politica europea credibile. Liberiamo l’Italia dal ricatto del debito pubblico” un paragrafo del suo recente “Al di la del tunnel”. E poi Giovanni Bazoli, e altri. Renato Brunetta ha criticato questa idea con considerazioni tecniche e il 9 maggio ha pubblicato su HuffPost l’articolo “Oro alla patria, la pessima idea di Salvini e Tremonti”.
Le mie non sono considerazioni tecniche, ma politiche. Sono convinto che finché non cambieremo la Costituzione, finché il potere continuerà ad essere concentrato a Roma con questo centralismo anti-storico, con questa abrogazione di fatto del principio di sussidiarietà, insomma con questa Costituzione e con la conseguente cultura e prassi supercentralistica e ministeriale, purtroppo è davvero difficile fidarsi del nostro Stato.
2 – Oltre alla cultura supercentralistica, Marco Vitale ed altri amici elencano spesso le “piaghe bibliche” del nostro Paese. Eccone qualcuna:
La corruzione diffusa
La burocrazia
I rapporti di lavoro arcaici
Il lavoro nero
La giustizia e i suoi tempi
La cultura e la ricerca, che sono i veri fattori chiave dello sviluppo ma che da noi sono sempre più umiliati e trascurati
L’evasione fiscale
Le organizzazioni criminali
Le istituzioni che non funzionano
Le pubbliche amministrazioni che a volte si comportano come “nemiche”
L’elenco potrebbe continuare a lungo. Voglio ricordare un serio intervento di Carlo Scognamiglio a Milano, lo scorso 29 novembre, al convegno “Si sono dimenticati il nord”, al quale partecipavano anche Stefano Parisi, Benedetto Della Vedova, Alberto Mingardi, Elisa Serafini ed altri. Ricordo che nella circostanza Scognamiglio aveva citato Angelo Panebianco e la “grande cupola romana”. In effetti, il vero potere è in mano ai dirigenti dei ministeri e ai burocrati di Roma. A quelli che in questi giorni scrivono leggi incomprensibili di quasi 500 pagine. A mio modestissimo giudizio è davvero difficile fidarsi di un paese organizzato in questo modo.
Come ha detto di recente anche Piero Bassetti, un maestro a cui tutti vogliamo bene (videoconferenza Sabato 2 maggio di Alleanza Civica): “…dopo la pandemia…nulla-o molto poco- sarà più come prima all’uscita dal tunnel: ci troveremo comunque in un’altra valle rispetto a quella da cui siamo partiti…E anche la nostra Costituzione è quasi tutta da rivedere…”.
Come ho detto, la parola chiave è “credibilità”: per essere credibili, per sanare le “piaghe bibliche” dell’Italia e anche per adeguarci alle novità che ci impone il Covid-19, dobbiamo cambiare l’organizzazione del sistema paese. Servono più concorrenza, più competenze e meno concentrazione di potere a Roma: il mio modello continua ad essere la Costituzione della vicina Svizzera.
(*) L’articolo è stato pubblicato su “La nuova Padania”. Per gentile concessione dell’Autore e del Direttore della Testata, Stefania Piazzo.
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