Appena partorito, dopo un lungo sforzo della maggioranza di governo più a sinistra della storia italiana, il decreto Rilancio è già al centro delle critiche da parte delle categorie produttive, ad iniziare da Confapi Padova, secondo cui non si può nemmeno dire che la montagna abbia partorito il topolino. Perché la montagna – ovvero la lunga attesa di un decreto che doveva chiamarsi “Aprile” e poi “Maggio”, prima che si optasse per un più mediatico “Rilancio” – ha a sua volta partorito una montagna di 464 pagine – ma la prima bozza ne prevedeva addirittura 767 – per complessivi 256 articoli.
«E già l’enorme mole del documento dice molto di questo decreto – commenta il presidente di Confapi Padova, Carlo Valerio -. Una metà è dedicata agli emendamenti e alla correzione del “Cura Italia”, mentre nell’altra metà assistiamo al trionfo dell’involuto linguaggio burocratico. Tutto questo con un mese e mezzo di ritardo, mentre avremmo avuto bisogno subito di risposte concrete e di immediata applicazione per dare liquidità alle imprese e sostenerle nel momento in cui sono chiamate a recuperare quote di mercato. In più, per l’industria è stato fatto poco». Proprio l’opposto di quanto accaduto negli altri “grandi” paesi europei.
«Se è positivo che, sia pure in modo farraginoso, a pagina 448, venga introdotta la possibilità di richiedere bonus e contributi attraverso l’autocertificazione, e se lo è che finalmente siano prospettati contributi a fondo perduto per le imprese, resta il fatto che si è voluto arrivare a un decreto monstre che, nelle intenzioni degli autori, mirava probabilmente a passare alla storia, quando invece sarebbe stato ben più utile procedere già diverse settimane fa attraverso provvedimenti mirati – sottolinea Valerio -. Sarebbero serviti subito per ridare ossigeno a tutte quelle piccole e medie imprese che, nelle scorse settimane, o si sono fermate o hanno lavorato a scartamento ridotto, spesso non potendo nemmeno incassare le proprie spettanze dai committenti, a causa dell’allungamento dei tempi di pagamento. E, invece, qualcuno ha una vaga idea di quanti decreti attuativi serviranno per mettere in moto i 256 articoli previsti?»
«Basta poi scorrere il solo indice del documento – prosegue Valerio – per rendersi conto che in questo decreto proveranno a sguazzare in tanti. Sarebbe importante stabilire che ogni autocertificazione, legittimamente accettata per ridurre i tempi di azione, verrà controllata in seguito: i soldi della comunità non devono cadere in mano a spregiudicati predatori, come scandalosamente successo in passato. Aleggia poi pesante il rischio che le varie componenti della assai incerta maggioranza possano approfittarsene per sdebitarsi con le rispettive clientele. Con tutto il rispetto, ma che senso ha che nel decreto ci fossero il contributo del 2 per mille anticipato ai partiti politici o i provvedimenti in favore del comune di Campione d’Italia, poi depennati nella versione finale, e al Tecnopolo di Bologna, struttura specializzata nelle rilevazioni meteo, questo sì rimasto?»
Per il presidente di Confapi Padova «quello che invece era necessario, ovvero accorpare 2020 e 2021 in un unico anno fiscale, non è stato fatto, limitandosi a far slittare a settembre i pagamenti dovuti per le ritenute, per l’Iva (e rimarchiamo come sia positivo anche il fatto che siano state finalmente abrogate le famigerate clausole di salvaguardia contro cui spesso Confapi ha fatto sentire la sua voce) e per i contributi previdenziali e a favore dell’Inail. Sarebbe invece servito azzerare Irpef, Ires e Imu sui capannoni. Ma come possiamo immaginare che un governo che nel 2021 difficilmente sarà ancora in carica arrivi a ragionare su tempi di così ampio respiro?»
«La premessa a qualsiasi considerazione, peraltro – conclude Valerio – è che soltanto nei prossimi 6-12 mesi sarà possibile inquadrare quali effetti la crisi epidemiologica avrà sulle nostre imprese per via del calo dei consumi. E qui l’errore è a monte: non dobbiamo limitarci a considerare solo le immediate ripercussioni nel fatturato, ma piuttosto considerare il problema più vasto del portafoglio ordini. A oggi non possiamo immaginare se, pur ripartendo la produzione, poi ci sarà un effettivo riscontro nelle domande, essendo fermi il commercio e le fiere nazionali e internazionali. Con gli ultimi provvedimenti del governo abbiamo invece assistito a un progressivo ampliamento delle risorse messe a disposizione della sicurezza – ed è un bene, per carità – ma senza che ci fosse una regia in grado di pensare a cosa succederà dopo, salvaguardando la competitività delle nostre imprese. In altre parole, si continua a navigare a vista. Ed è proprio quello che non si dovrebbe fare».
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