Morani: «le problematiche del “Decreto Liquidità” sollevate dalle categorie economiche saranno risolte nel “Decreto Ripresa”»

Intervista al sottosegretario Mise circa le critiche ai contenuti del “Decreto Liquidità” e gli sviluppi successivi degli interventi per fronteggiare le conseguenze dell'emergenza Coronavirus.

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incentivi alla rottamazione auto “Decreto Liquidità”
Alessia Morani, sottosegretario al Mise.

Il “Decreto Liquidità” emanato dal governo BisConte nei giorni scorsi ha suscitato dalle categorie economiche interessate più critiche che approvazioni, soprattutto in tema di celerità e semplicità di accesso da parte delle imprese e delle partite Iva alle provvidenze deliberate. Critiche che vertono soprattutto sul fattore tempo, elemento che per il mondo delle imprese è di importanza strategica, tanto da essere la discriminante tra la vita e la morte.

Con la deputata marchigiana Dem, Alessia Morani, sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico (Mise), il punto della situazione nell’intervista che segue.

Sottosegretario Morani, il “Decreto Liquidità” appena varato dal governo è già stato oggetto di numerose critiche, soprattutto sul lato dell’eccesso di burocrazia e di tempi di erogazione del credito non in linea con le necessità delle aziende, soprattutto di quelle maggiormente colpite dalla chiusura. Come risponde?

Il “Decreto Liquidità” è stato concepito per dare accesso rapidamente e in forma agevolata alla liquidità da parte dalle aziende costrette alla chiusura repentina delle loro attività causa la pandemia da Coronavirus. Siamo consapevoli delle difficoltà di accedere al credito delle imprese, difficoltà che in questa situazione di emergenza si sono amplificate. Le imprese hanno bisogno di liquidità per far fronte ai loro obblighi e scadenze. Parallelamente, il governo ha provveduto a spostare le scadenze per il pagamento di tasse e tributi vari di alcuni mesi. L’obiettivo finale è garantire la sopravvivenza delle imprese in questi due-tre mesi di blocco di tutte le attività. Il decreto semplifica per quanto possibile le modalità di accesso al credito creando canali preferenziali, con l’attivazione di diversi gradi di garanzia da parte dello Stato, a seconda se micro imprese, PMI o grandi imprese.

Come agiscono queste garanzie di stato sul credito concesso alle imprese?

Per i crediti fino a 25.000 euro (e comunque non oltre il 25% del fatturato 2019 dell’azienda o del lavoratore autonomo) la garanzia prestata dallo Stato copre direttamente il 100% del credito e l’accesso è decisamente semplificato, tanto da non rendere necessaria alcuna forma di istruttoria creditizia da parte della banca: basta una semplice richiesta alla propria banca anche a mezzo posta elettronica con contestuale autocertificazione del fatturato conseguito nel 2019. Per i prestiti fino a 800.000 euro chiesti dalle Pmi c’è il Fondo centrale di garanzia, con una copertura dello Stato fino al 90% dell’importo concesso cui s’aggiunge il 10% garantito dal Confidi. Per richieste superiori interviene la Sace (una partecipata di Cassa Depositi e Prestiti) con erogazioni anche qui coperte dalla garanzia dello Stato per il 90% a calare con il crescere degli importi erogati fino al 70%. Lo scopo di tutti gli interventi è di sveltire le procedure e, tramite le garanzie pubbliche, di garantire la liquidità al sistema delle imprese italiane.

Però da tutte le organizzazioni imprenditoriali ci si lamenta che le richieste per gli importi oltre i 25.000 euro sono ancora troppo burocratizzate e che il compimento delle varie istruttorie da parte delle banche e degli organismi di garanzia comportano almeno due mesi di tempo, troppi, a loro giudizio, per le necessità delle imprese di ottenere tempestivamente liquidità, che per molte può costituire la differenza tra la vita o la morte.

Il governo è consapevole che il principale fronte d’azione è costituito dalla variabile temporale. Se emergono delle problematiche legate all’attuazione dei contenuti del “Decreto Liquidità”, il Governo è pienamente disponibile ad apportare modifiche migliorative nel corso dell’approvazione definitiva del decreto da parte del Parlamento nelle prossime settimane. Ci impegniamo a fare nostre le richieste di miglioramento al testo del decreto che proverranno dal mondo della produzione e del lavoro autonomo. Lo stesso sistema bancario attraverso la loro associazione di categoria Abi ha prontamente recepito i contenuti del “Decreto Liquidità” attuando da subito le varie procedure, anche se non nego che in questo momento l’operatività bancaria viaggia a regime ridotto e questo può comportare qualche rallentamento nello svolgimento delle pratiche. Il ministero dello Sviluppo economico s’impegna a tenere sotto constante controllo il flusso dei finanziamenti erogati a scadenza settimanale rendendo noti i risultati. Conto personalmente di avere in mano i primi dati a partire dal 20 aprile prossimo ad iniziare da quelli relativi ai finanziamenti garantiti al 100%.

Alcuni parlamentari hanno proposto l’istituzione di una commissione parlamentare di controllo sull’erogazione del credito agevolato. Cosa ne pensa?

Potrebbe anche essere uno strumento utile per assicurare la completa trasparenza sulle modalità di attuazione dei contenuti del “Decreto Liquidità”. Mi riservo di fare, assieme al ministro Patuanelli, le debite valutazioni sulla proposta avanzata.

I piccoli imprenditori, come commercianti e artigiani, oltre a molti professionisti che si sono visti bloccare la loro attività per qualche mese, vanno affermando che le loro realtà, più che nuovi debiti, hanno bisogno di un’iniezione di liquidità fresca che vada in qualche modo a compensare il fermo imposto e i conseguenti mancati guadagni, anche in considerazione che chi è lavoratore dipendente, pensionato o percettore di reddito di cittadinanza dall’emergenza Coronavirus non ha subito alcun contraccolpo economico, ripercussione che invece è stata pesante per gli autonomi. Cosa si può fare per venire incontro a queste esigenze?

Si tratta di una situazione che abbiamo ben nota e comprendo che per piccole attività, con ridotta capacità economica e magari già di loro indebitate per l’acquisto delle merci da vendere o con mutui per l’acquisto o la ristrutturazione delle loro attività siano in forti difficoltà, visto che devono fare fronte a scadenze fisse come il pagamento degli affitti o delle bollette dei servizi. Il Governo ha agito secondo una strategia in tre mosse: dapprima ha coperto tutte le esigenze legate al contenimento sanitario dell’emergenza Coronavirus; poi, con il “Decreto Liquidità” ha provveduto ad attivare canali agevolati per l’accesso al credito per tamponare le necessità di liquidità. A questa dovrà necessariamente seguire una terza fase con un nuovo decreto, il “Decreto Ripartenza” dove, sulla base dei danni economici conseguiti, ci dovrà essere una qualche forma di concreto indennizzo per i danni economici subiti dalle partite Iva, soprattutto quelle più piccole e con minor capacità finanziaria che già venivano da una situazione economica difficile, complice l’andamento nazionale del Pil non brillante negli ultimi due anni.

Anche perché un sistema produttivo come quello italiano, strutturalmente sottocapitalizzato, spesso non può sobbarcarsi nuovo debito, che va ad influire anche sul merito creditizio delle singole attività, tanto che alcune categorie consigliano i propri aderenti a valutare bene l’opportunità se e come accedere a credito agevolato del “Decreto Liquidità”.

Sono conscia del problema specie del fatto che non tutte le attività avranno lo stesso grado di ripartenza e capacità di produrre reddito come prima, ad iniziare dalle attività della ristorazione del turismo, dove, come per tutte le attività ad alto grado di socialità, dovranno permanere per lungo tempo le norme di sicurezza che stiamo sperimentando in queste settimane, ad iniziare dal ridotto affollamento degli spazi e alla distanza minima tra le varie persone. Per tutte queste attività è doveroso che lo Stato intervenga a loro sostegno, per evitarne la chiusura e la perdita di posti di lavoro, visto che dietro una partita Iva ci sono spesso altri numerosi lavoratori, sia dipendenti che collaboratori.

Quindi imprese, partite Iva e professionisti devono attendere la terza fase per sapere se e come potranno essere parzialmente indennizzati dai danni economici subiti dall’emergenza Coronavirus? E se sì, può ipotizzare con quali risorse?

Detto che imprese, partite Iva e lavoratori autonomi in generale sono al momento tra i più penalizzati a livello economico, anche perché molti provengono da due anni non brillanti sotto il profilo economico generale, con poche risorse accumulate, quanto alle risorse da utilizzare credo che una grande mano potrà venire dal sostegno che l’Unione europea sta per decidere a supporto dei paesi europei colpiti dall’emergenza Coronavirus. In quest’ambito conto che ci sia la possibilità di indennizzare più o meno parzialmente chi ha subito involontariamente una penalizzazione economica per evitare che questo si ripercuota in chiusure di attività, disoccupati, eccetera. Oltre al fondo da 100 miliardi di euro deliberato dall’Unione europea per finanziare la cassa integrazione per i lavoratori dipendenti, ci dovrà essere anche uno strumento dedicato espressamente alla ripartenza e al sostegno delle attività economiche.

A proposito di Unione europea, non trova che sarebbe ormai opportuno che stati come i Paesi Bassi o il Lussemburgo, che si ergono contro politiche di debito pubblico comunitario e di solidarietà, facessero terminare le loro politiche di dumping fiscale a favore delle grandi multinazionali europee e mondiali che finiscono con il danneggiare pesantemente il fisco degli stati nazionali?

Sono perfettamente d’accordo e credo che i tempi siano maturi per fare un passo avanti in questo settore, stabilendo a livello comunitario precise regole tributarie per evitare che, all’interno dello spazio comune, possano esistere paradisi fiscali come quelli olandesi o lussemburghesi, che alla sola Italia costano mancato gettito per almeno 1,5 miliardi di euro all’anno. Nessuno vuole che altri paesi si sobbarchino l’onere del debito pubblico italiano che è e deve rimanere competenza esclusivamente interna. Ma si può e si deve pretendere che le politiche tributarie attivate dai vari paesi siano progressivamente ricondotte ad una comune linea d’azione per evitare fenomeni di concorrenza sleale tra vari stati come purtroppo accade ora.

Potrebbe anche essere che, nell’ambito della ricerca di nuove risorse per il bilancio dell’Unione europea, si decidesse di trasferire l’imposizione sulle multinazionali attive sul suolo europeo non già ai singoli stati dove queste hanno una o più sedi legali, ma direttamente alla stessa Unione europea, facendo così cessare ogni tentazione di dumping fiscale e assicurando un trattamento fiscale equo e uguale in tutt’Europa.

Potrebbe essere una quadratura delle esigenze di assicurare gettito alle istituzioni europee annullando al contempo il dumping fiscale. Si potrebbe anche stabilire un’aliquota equa che non sia penalizzante per le multinazionali, ma anche rispettosa della corretta concorrenza con le altre imprese, finora penalizzate da un prelievo fiscale molto maggiore rispetto a quello, spesso simbolico, di cui hanno potuto godere le varie multinazionali.

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