Dire sempre la verità

L'emergenza sanitaria che sta colpendo il nostro Paese impone all'Italia e ai cittadini italiani molteplici sfide, in ambito non solo sanitario ma anche economico-finanziario e sociale: una partita che potrà essere vinta soltanto anteponendo ai propri diritti i propri doveri. Di Alberto Brambilla, Consigliere economico alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

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La grave epidemia da Covid-19 che sta mettendo a dura prova il nostro Paese ha certamente molti riflessi negativi, anzitutto sulla salute dei cittadini e poi anche sull’economia, sui mercati finanziari e sulle finanze pubbliche; insomma, stiamo attraversando senza una bussola “l’inverno nucleare della salute” scoprendo tuttavia alcuni aspetti, alcune verità che meritano qualche riflessione.

Lo Stato esiste!

In questo momento di grande disorientamento i cittadini hanno ritrovato nello Stato, spesso tanto vituperato e assimilato a un patrigno esoso e tiranno, un punto di riferimento prezioso. Un gestore del bene più importante: la salute e la vita. E così tutte le speranze della stragrande maggioranza dei cittadini sono riposte nel Servizio Sanitario Nazionale, nella Protezione Civile, nelle forze dell’ordine e pure nella “politica”. Una riscoperta del valore dello Stato in quanto comunità accogliente e protettiva, una speranza ultima a cui attaccarsi, un valore che speriamo non venga dimenticato nel post virus.

Una debolezza strutturale!

Proprio allo Stato si rivolgono gli operatori di mercato e i cittadini chiedendo, come abbiamo visto, non solo protezione sanitaria ma anche sussidi e sostegni finanziari per poter resistere a un periodo di mancato lavoro e quindi di mancato reddito; richieste di cassa integrazione, sussidi vari e ammortizzatori sociali. Domanda: possibile che un mese o più di inattività possa produrre la chiusura di molte attività per mancanza di liquidità? È così debole la struttura finanziaria delle tante imprese commerciali, artigianali e industriali? E anche quella dei lavoratori che – pare – non abbiano risorse da parte (fieno in cascina) per fronteggiare un mese di mancato reddito? È certamente un punto su cui riflettere e non poco. Un sistema troppo debole che, al primo uragano, non ha le risorse di sopravvivenza e si rivolge a una entità superiore: lo Stato.

Le risorse non sono infinite e i debiti qualcuno li deve pagare: cosa può fare lo Stato in questa situazione?

Certamente, e anche in deficit, è giusto che il Governo finanzi anzitutto la sanità recuperando, ove possibile, il tempo perduto: la spesa sanitaria pubblica sul PIL è al 6,61%, circa 3 punti meno di Francia e Germania e 1 in meno di UK, e si è progressivamente ridotta dal 2009 a oggi. Quindi, aumentare gli ingressi dalle specialistiche; utilizzare, pagandoli non come ora a zero euro, gli specialisti all’ultimo anno; aumentare medici di base (oggi hanno troppi pazienti in carico), specialisti, infermieri, ricercatori e operatori socio-sanitari, rafforzare la ricerca migliorando gli stipendi dei ricercatori evitando che se ne vadano all’estero per soli motivi economici; insomma, arrivare a quel 7,5% che ci metterebbe in zona più sicura. Una spesa strutturale di 15 miliardi. Questo è il “minimo” che deve fare lo Stato per aumentare i posti letto, i medici, la terapia intensiva: insomma la salute sociale. Solo dopo, e se sarà possibile, ci potranno essere gli ammortizzatori sociali e il sostegno al reddito per i soggetti che, erose le ferie, i permessi, utilizzato la “banca del tempo” non avranno altre entrate e nella stragrande maggioranza, vista la ormai chiusura quasi totale, si dedicheranno alla cura dei bimbi a casa da scuola. Operazioni a pioggia, come qualcuno chiede, sono costosissime e difficili da applicare con equità, nonostante la politica gareggi ancora a promettere sussidi per tutti – ovviamente a debito – e anche, qualcuno, per cifre ingenti.

Sulla capacità del governo di tenere la barra a dritta stendiamo un velo pietoso: prima 3 miliardi, poi 7,4, quindi 10 e infine, ma chi può dirlo, 20 che diventano 25 (testuali parole). Sarebbe molto utile, pur con la buona volontà di aiutare il più possibile, che finalmente il governo e tutta la politica non usassero questa tragica situazione per mettersi in mostra; che dicesserofinalmente la verità agli italiani! E la verità è che tutti noi – ma proprio tutti, imprenditori, dipendenti, professionisti, artigiani e commercianti – avremo una diminuzione dei nostri redditi pari alla durata del coronavirus: 2/3 mesi? Che non possiamo fare troppo debito: si veda già oggi lo spread. Che dobbiamo ridurre, e di molto, il nostro tenore di vita e non ci possiamo piùpermettere di spendere al gioco d’azzardo oltre 127 miliardi (più dei 116 della sanità), di essere tra i primi al mondo per possesso di telefonini, auto e così via.

Il costo totale! 

Oltre ai necessari investimenti in sanità, tenuto conto che l’economia rallenterà, dobbiamo mettere in conto anche le minori entrate fiscali e contributive. Considerando che il gettito IRPEF del 2017 (ultimo dato disponibile) ammontava – al netto del bonus Renzi – a circa 165 miliardi di euro, il gettito contributivo relativo al 2018 è stato pari a circa 205 miliardi, IRES e IRAP 2017 a circa 59 miliardi, solo per prendere in considerazione le maggiori entrate dirette; se la situazione si protrarrà per un mese e dovesse colpire il 40% delle attività commerciali, artigianali, produttive, di servizi e turismo, ci saranno almeno 14,5 miliardi di minori entrate, che si sommeranno ai circa 3 miliardi necessari per l’estensione dei bonus. Sul lato spese, oltre agli investimenti in sanità (non meno di 7 miliardi iniziali) e ad almeno la metà dei 3 miliardi di risparmio sugli interessi sul debito visti i valori dello spread e prevedendo almeno 1 milione di ore di cassa integrazione e in deroga, il “conto” sarà molto alto e pari a circa 11 miliardi.

Insomma, una “dotepesante in vista della prossima legge di Bilancio gravata dalle clausole di salvaguardia (circa 47 miliardi tra il 2021 e il 2022). E questo solo se l’attuale situazione si concludesse in un mese. La sensazione è che tutti dovremo tirare la cinghia, pretendere meno dallo Stato e iniziare a vivere forse anche al di sotto delle nostre potenziali possibilità: la sfida si potrà vincere solo se anteporremo, ai diritti di cui siamo imbevuti, i nostri doveri.

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