Attorno al mondo dell’accumulo di energia elettrica si stanno svolgendo numerose e articolate ricerche per arrivare ad un sistema che unisca sicurezza, praticità d’utilizzo e bassi costi d’investimento e di utilizzo, unitamente ad una lunga durata: tutti aspetti garantiti dalle batterie a flusso.
Le batterie agli ioni di litio sono quelle oggi più diffuse e comuni, ma hanno a loro svantaggio parecchi aspetti: dal costo tutt’ora elevato (anche se si è ridotto grandemente nel corso degli ultimi anni), un rapporto peso/potenza immagazzinata ancora sfavorevole, tendenza all’instabilità e al rischio d’incendio, oltre a problematiche ambientalie geopolitiche connesse alla disponibilità dei materiali di base (litio e cobalto su tutti) necessari per la loro produzione.
Le possibili alternative sono molte e tra queste c’è la batteria a flusso che si basa su componenti quasi interamente organici che una startup di Rovereto, Green Energy Storage, sta finendo di mettere a punto pronta per essere avviata ad una fase d’industrializzazione e di commercializzazione.
Con Rodolfo Pinto, amministratore delegato e uno dei promotori dell’iniziativa assieme al padre Salvatore che coinvolge anche i laboratori di ricerca della Fondazione Bruno Kesser di Trento, il punto sullo sviluppo di questa tecnologia che promette molto bene.
Dottor Pinto, innanzitutto cos’è una batteria a flusso?
Le batterie a flusso sono dispositivi di accumulo dove le parti attive non sono contenute negli elettrodi solidi come nei normali accumulatori, ma sono normalmente disciolte in soluzioni liquide esterne alla batteria. Queste soluzioni vengono pompate all’interno di una cella elettrochimica con due elettrodi separati da una membrana a scambio ionico. In fase di carica, in una semicella avviene la reazione di ossidazione del catolita e nell’altra semicella la reazione di riduzione dell’anolita. Le soluzioni cariche vengono stoccate nei serbatoi esterni fino a quando si necessita di utilizzare l’energia accumulata. In fase di scarica, avvengono le reazioni inverse. La batteria può essere sottoposta a numerosi cicli di carica e scarica. Green Energy Storage ha acquistato il brevetto dell’Università di Harvard, frutto del lavoro di due grandi ricercatori come Michael Aziz e Roy Gordon, e lo stiamo sviluppando per farne un prodotto industriale che sarà entro la fine dell’anno disponibile sul mercato.
Come funziona la batteria a flusso che state sviluppando?
Le batterie a flusso finora costruite, e in alcuni casi già in commercio, utilizzano soluzioni di sali metallici (vanadio, zinco) come trasportatori della carica elettrica, con tutti i problemi di costo, scarsità, tossicità e difficoltà di smaltimento che questo comporta. La batteria ideata ad Harvard e sviluppata da Green Energy Storage utilizza come specie attiva dell’anolita un composto organico della famiglia dei chinoni, di cui ne esistono una infinita varietà e che sono presenti nelle piante, ed alcunigià in uso in farmaci e cosmetici. La batteria di Harvard, per esempio, usa l’acido 9,10-antrachinone-2,7-disulfonico, che, nonostante il nome inquietante, è una sostanza contenuta nel rabarbaro.
Il grande interesse che ruota attorno alle batterie a flusso è dato dalla loro compatibilità ambientale?
Non solo: la batteria a flusso di Green Energy Storage è capace di operare a temperatura ambiente, garantendo un elevato livello di sicurezza in quanto ogni rischio di esplosione legato ai problemi di surriscaldamento viene meno (grande problema tipico delle batterie a litio). Inoltre, questo genere di batterie assicura migliaia di cicli mantenendo la stessa efficienza iniziale. Inoltre, quando l’elettrolita diventa “esausto”, basterà sostituirlo, mantenendo tutto il resto del dispositivo (al contrario del litio che richiede la sostituzione dell’intero pacco batteria). Inoltre, i componenti della batteria non rappresentano criticità in termini di approvvigionamento.
A svantaggio della batteria a flusso ci sono gli ingombri.
Sicuramente, anche se al momento il loro impiego è destinato prioritariamente ad un utilizzo stazionario a supporto della produzione di energia da fonte rinnovabile fotovoltaica o eolica. Gli ingombri sono determinati soprattutto dal volume dei serbatoi di accumulo e della cella. Di fatto, una batteria a flusso ha una potenza, espressa in termini di kW, proporzionale alla superficie della membrana, quindi al numero di celle utilizzate, mentre la capacità, espressa in kWh, è proporzionale al volume di liquido accumulabile nei serbatoi. Quindi, variando il numero delle celle o dei serbatoi è gestibile a piacere la potenzialità energetica della batteria.
A che punto siete dello sviluppo della tecnologia?
Nel corso del 2019 abbiamo terminato la prima fase precommerciale grazie ad un contributo del fondo Horizon 2020 dell’Unione Europea di due milioni di euro, cui s’è aggiunto il contributo erogato dalla provincia di Trento per 3 milioni e il milione di euro raccolto tramite crowfounding. In tre anni di ricerca e sviluppo, siamo passati da un prototipo di 1 Watt di potenza ad uno da 5 kW. Ora abbiamo avviato il percorso di certificazione del prodotto che sta per essere concluso entro la prossima primavera. La batteria sarà pronta per la commercializzazione entro la fine dell’anno e il valore finora costruito dalla società si basa sullo sviluppo della tecnologia attorno ad un centro avanzato di ricerca di valenza europea che guarda anche ad altri settori dell’accumulo grazie a differenti sviluppi di nuove famiglie di batterie basate su fisiche e chimiche differenti, basate sempre sul principio della batteria a flusso. A seguito della certificazione che stiamo completando, sarà avviata la commercializzazione del primo prodotto, unendo comunque una forte attività di ricerca e sviluppo con lo sviluppo di ulteriori brevetti sulla fisica e chimica della batteria. Oggi Green Energy Storage è un centro di competenza d’avanguardia in Europa in tema di accumulo di energia in collaborazione con la Fondazione Bruno Kessler, dove manterremo le attività di ricerca, con la soddisfazione di avere anche contribuito al rientro dei “cervelli” italiani, come la trentina Ilaria Pucher, responsabile ricerca con un post dottorato in fisica in Florida rientrata dagli Usa per seguire quest’avventura. La parte produttiva sarà insediata nel polo Green del centro Manifattura di Rovereto.
Che dimensioni ha la batteria a flusso pronta ad andare sul mercato?
Quella da 5 kW ha una dimensione di un parallelepipedo di profondità circa 1,5 metri, altezza 1,70 e larghezza uno. Una specie di lavatrice, solo un po’ più ingombrante, al cui interno sono contenuti tutti i dispositivi per farlo funzionare.
Quanto costerà?
Il prezzo è ancora una variabile che dipende dal livello di produzione degli apparecchi. Nella fase di avvio il prezzo atteso per il taglio da 5 kW/10 kWh sarà di circa 6.000 euro, pari a 600 euro/kWh, con l’obiettivo di arrivare allo stesso livello di prezzo delle batterie al litio di 200 euro /kWh man mano che i volumi di produzione cresceranno aumentando le economie di scala. A vantaggio della batteria a flusso c’è la maggiore durata, maggiore sicurezza e minore impatto ambientale.
Quali saranno gli sviluppi futuri?
Man mano che svilupperemo nuove chimiche e fisiche di prodotto, puntiamo a raggiungere rapidamente taglie da 100 kW scalabili fino al MW idonee per il mercato delle energie rinnovabili. Le stime internazionali più accreditate come quelle di Bloomberg e McKinsey parlano di un mercato degli accumuli stazionari di energia da fonte rinnovabile di 200 miliardi di dollari a livello globale entro i prossimi cinque anni, con la possibilità di mobilitare investimenti negli anni successivi fino a 600 miliardi di dollari. Al momento Green Energy Storage è l’unica realtà italiana attiva in questo settore e registriamo un crescente interesse, tanto che nel consiglio di amministrazione è entrato anche Gianni Armani ex ceo Terna Rete Italia.
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