Coronavirus: il punto della situazione sulle reali conseguenze dell’epidemia

Palù: «il virus sta circolando nel mondo da almeno due mesi, ma non è peggio della classica influenza». In Italia i contagiati salgono a 322 e 11 vittime. 

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variante Omicron

L’ultimo aggiornamento dei casi di coronavirus vede in Italia 322 contagiati totali di cui 240 in Lombardia (comprese le 9 vittime), 43 in Veneto (compresa la vittima di Vo’ Euganeo), 26 in Emilia Romagna, 3 in Piemonte, 3 nel Lazio (i due cinesi allo Spallanzani e il ricercatore guarito), 3 in Sicilia, 3 in Toscana, uno in Liguria e uno in Alto Adige. Dei 322 contagiati, 114 sono ricoverati con sintomi, 35 sono in terapia intensiva, 162 sono in isolamento domiciliare. Il numero delle vittime è salito a 11 casi, 9 in Lombardia e due in Veneto, tutti accaduti tra persone anziane e già con problemi di salute.

Il fatto che i casi di coronavirus evidenziati in Italia siano maggiori rispetto ad altri paesi europei si deve al fatto che «i controlli effettuati sono stati almeno 6.500 contro i meno di 500 effettuati in Francia – afferma il virologo Francesco Broccolo, dell’Università Bicocca di Milano -. Noi che stiamo cercando il virus lo abbiamo trovato ed è questo il primo motivo dell’alta incidenza di nuovi casi». Proprio perché i contagi c’erano già in precedenza, «i casi nel Lodigiano possono essere considerati la punta dell’iceberg – sostiene Broccolo -. Vale a dire che, se andassimo a cercare il virus con un’indagine a tappeto, troveremmo casi senza una rilevanza critica importante anche nei bambini».

Accerchiare il virus permette di evitare uno scenario nel quale «avremmo molto probabilmente un’epidemia di tipo semi-influenzale, con una catena di contagio che si diffonderebbe» afferma Broccolo, secondo cui i cosiddetti “casi invisibilisarebbero molto numerosi e, secondo uno studio dell’Imperial College di Londra, sarebbero una conseguenza dei primi casi invisibili arrivati dalla Cina nel resto del mondo e che sarebbero due terzi del totale dei casi usciti dalla Cina. «E’ l’ipotesi più probabile – rileva l’epidemiologo -. Si calcola che gli asintomatici siano circa il 4% rispetto a tutti gli individuicon l’infezione: vale a dire che su 100 infettati 4 non hanno segni, 80 hanno lievi sintomi di raffreddamento e 16 hanno manifestazioni che vanno da moderate-lievi fino alle più gravi».

Quanto alla letalità del coronavirus, secondo Broccolo «il tasso relativo a questo valore è molto teorico quando viene calcolato mentre l’epidemia è in corso”. E’ infatti il rapporto fra il numero dei morti e quello degli infetti e questi ultimi sono sempre sottostimati rispetto al numero reale. Attualmente il tasso di letalità in Italia viene calcolato nel 3%, ma potrebbe essere soggetto a variazioni». Il tasso di diffusione è invece pari a 2,6: «dovremo arrivare – conclude Broccolo – al di sotto dell’1 per uscire dall’epidemia».

Sulla stessa linea Giorgio Palù, ordinario di Microbiologia e Virologia dell’Università di Padova: «al momento la stima sul tasso di diffusione di 2,3 è calibrato sui pazienti di Wuhan, mentre fuori dalla Cina si stima sia inferiore all’1%».

Le difficoltà nel calcolare il tasso di letalità sono analoghe a quelle che si incontrano nel calcolare la diffusione. In generale, secondo Palù, si può dire che sia molto meno letale della pandemia del 2009 e che possa dare conseguenze gravi nel 20% dei casi; fra questi ultimi almeno il 50% riguarda persone anziane o con infezioni gravi.

L’arma che permette al virus di diffondersi con tanta efficienza è il recettore Ace2, che si trova sulla sua superficie: è una chiave molecolare che il virus usa per entrare nelle cellule dell’apparato respiratorio umano, infettandole. Si ritiene che nel nuovo coronavirus il recettore sia dieci volte più efficiente rispetto a quello della Sars. Grazie al recettore Ace2, il virus riesce gradualmente a raggiungere le basse vie respiratorie ed è per questo che è possibile che «una persona con l’infezione non abbia sintomi per un certo periodo, in media da 1 a 14 giorni, ma possa essere anche più lungo».

Quando alla possibilità di eliminarlo dall’ambiente, secondo Palù «come ogni virus, anche il coronavirus SarsCoV2 si inattiva alla temperatura di 37 gradi; è inoltre sensibile a saponi, detergenti e disinfettanti, come alla radiazione solare. Resiste invece molto bene al freddo, anche a temperature sotto lo zero».

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