Finanziamento dell’Autonomia trentina: indispensabile rivedere il “Patto di Milano” del 2009

Il ministro Boccia a Trento apre a maggior indebitamento da parte della Provincia. Peccato che indebitarsi non serva, visto che il Trentino stacca ogni anno un assegno da 900 milioni di euro a favore del risanamento del debito dello Stato che, invece, peggiora. 

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In questi giorni tra le stanze del governo dell’Autonomia trentina ci si arrovella attorno alla questione di come tamponare il possibile ammanco alle casse provinciali derivante dai provvedimenti fiscali deliberati dal governo centrale che si ripercuoterebbero negativamente sul gettito dell’erario trentino, visto che la quasi totalità delle competenze autonomistiche esercitate dalla Provincia di Trento sono alimentate dal gettito fiscale riscosso in loco.

Nel corso della visita del ministro agli Affari regionali, Francesco Boccia, in Trentino dei giorni scorsi, dal governo si è avanzata la possibilità di fare debito a livello locale per finanziare nuovi investimenti, anche cambiando la normativa vigente che impedisce a realtà virtuose che non hanno mai fatto debito nel tempo – come appunto la provincia di Trento – di poterne farne per finalità virtuose.

Sia chiaro che abbassare le tasse è giusto e doveroso, specie per chi la ricchezza la produce e che al momento sono soggetti ad un prelievo di oltre il 60% di quello che producono assommando tutte le voci fiscali e parafiscali che pesano sul reddito. Ma deve essere altrettanto chiaro che tale provvedimento non può avere ripercussioni negative sui flussi di cassa necessari per soddisfare tutti i servizi e le funzioni che l’Autonomia speciale del Trentino si è caricata, quandoqueste in altre realtà del Paese continuano ad essere erogate dall’amministrazione centrale dello Stato con un livello di efficienza decisamente inferiore. Ne, tantomeno, la strada deve essere quella di fare debito.

Con il “Patto di Milano” firmato nel 2009 dall’allora presidente della Provincia, Lorenzo Dellai, e dal ministro alle autonomie, Roberto Calderoli, l’Autonomia trentina accettava di compartecipare al risanamento dei conti dello Stato, con l’erogazione ogni anno di circa 900 milioni di euro, abbassando conseguentemente il livello di compartecipazione sulle entrate tributarie riscosse localmente dai 9/10 stabiliti dallo Statuto di Autonomia speciale agli odierni 7/10.

La Provincia di Trento deve rivedere l’accordo del 2009, ripristinando in pieno la previsione statutaria della gestione locale dei 9/10 del gettito tributario raccolto localmente, sia per fronteggiare i tagli fiscali decisi a livello nazionale, sia per erogare alla popolazione e alle imprese locali servizi di qualità che nel tempo sono andati calando per via delle minor disponibilità.

Ciò anche perché i 900 milioniregalati” allo Stato centrale da parte dell’Autonomia speciale non sono affatto serviti a risanare i conti pubblici, visto che in questi ultimi 11 anni il debito pubblico è andato crescendo sempre più, sfondando la soglia dei 2.400 miliardi di euro. Di più: mentre l’Autonomia speciale virtuosa del Trentino pagava pegno alle casse dello Stato, altre autonomie speciali, non altrettanto virtuose, bruciavano ingenti risorse, battendo cassa allo Stato che ha prontamente allargato a più riprese i cordoni della spesa senza ottenere in cambio alcuna garanzia di buon governo e contenimento degli sprechi.

Se necessario, il recupero dei 900 milioni di euro devoluti ogni anno dall’Autonomia speciale provinciale al bilancio dello Stato può essere accompagnato dall’accollo all’Autonomia speciale di nuove competenze attualmente svolte da parte dello Stato centrale.

Con le risorse finanziarie a disposizione nella loro interezza, la Provincia di Trento e gli enti locali sapranno certamente farne un uso migliore di quello che altre amministrazioni potrebbero fare. La palla ora passa al governo provinciale.

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